I nostri giudici popolari fan solo le belle statuine

Caro dott. Granzotto, all’inizio dello scorso anno fui convocato dalla Corte d’appello a recarmi presso il tribunale per far parte per tre mesi della giuria popolare. Più che un invito si trattava di un ordine, e nessuno mi aveva avvertito che ero stato messo in lista per questo incarico. A parte che nella mia funzione di giurato ho provato un forte senso di impotenza, io abito a oltre 100 chilometri (di ferrovia) dal tribunale e, secondo regolamento, avrei diritto al rimborso dei viaggi e a «25,82 euro ad udienza più l’indennità di missione di 0,85 centesimi l’ora per i residenti a più di 10 chilometri dall’ufficio giudiziario». Mi chiedo quando pensano di farmi avere questo rimborso, visto che sono passati undici mesi e non ho visto ancora un euro. Vorrei sentire cosa direbbero gli «onorevoli» pubblici ministeri, avvocati e presidenti di tribunale se il loro stipendio, o la loro diaria, arrivasse con un anno di ritardo.


Una delle tante magagne della magistratura è lo sprezzo in cui tiene il cittadino, testimone o giurato, chiamato a collaborarvi. Lo raccontammo circa un anno fa di quel teste residente nei pressi di Milano e convocato da un tribunale siciliano. Prese l’aereo, s’installò in un alberghetto per presentarsi poi puntualmente l’indomani - ore 9 - all’udienza. Fattosi mezzogiorno provò a chiedere in giro se gli era concesso di assentarsi una mezz’ora per buttar giù un panino, trovando infine un cancelliere ben disposto che gli rispose: guardi che può anche andarsene tranquillamente a casa. Era successo che qualche giorno prima il magistrato - senza ovviamente addurne le ragioni per non appannare lo smalto dell’autonomia e indipendenza della magistratura - si era assentato, rinviando di conseguenza le cause a data da destinarsi. Tutto ciò senza avvertirne il povero testimone al quale non restò che tornarsene, barrendo come un elefante inferocito, a Milano.
Oltre ad essere trattati con sussiego, attendendo al loro ufficio, i giudici popolari accusano uno sconcertante senso di impotenza, lo stesso da lei avvertito, caro lettore. Stato d’animo più che giustificato perché così com’è la giuria popolare sembra sia stata introdotta nel nostro ordinamento - diciamo pure «messa lì» - solo per onorare formalmente l’articolo 102 della Costituzione. A differenza di quanto contempla il diritto anglosassone, la nostra giuria è infatti parte del collegio giudicante, al cui interno a farla da padrone (assoluto) è incontestabilmente il giudice togato, lasciando ai restanti il ruolo delle così dette belle statuine. Difetto del quale Silvio Berlusconi - che, come è noto, ha nel programma dei suoi primi «cento giorni» l’istituzione, per casi gravi e con pene superiori ai cinque anni, di una Corte composta da un presidente togato e da nove giudici popolari - deve tener conto. Da rivedere c’è anche il reclutamento dei giudici popolari, che oggi avviene alla chetichella. Nel senso che, una volta stesa la lista dei cittadini in possesso dei requisiti necessari, non viene notificata loro, personalmente, l’avvenuta iscrizione all’Albo dal quale i tribunali attingono per formare le giurie. Lasciandoli pertanto nell’impossibilità di presentare gli eventuali ricorsi che la legge ampiamente consente. Resta infine il nodo dei rimborsi che lei giustamente lamenta, caro lettore.

Chiamando per due, tre mesi i cittadini a collaborare con la giustizia, è evidente che deve essere un punto d’onore dello Stato liquidare in tempi ragionevoli le spese e l’indennità di missione. Che fra l’altro è di euro zero virgola 85 all’ora. Roba da Corte europea dei diritti umani.

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