I nuovi conservatori

Tanti anni fa ricordo di aver partecipato a un dibattito su De Gaulle. Ero allora un giovane studente che cominciava a interessarsi della politica e, come si può immaginare, a quel tempo (siamo alla fine degli anni Cinquanta, inizio Sessanta) gli argomenti relativi alla solidità costituzionale della nostra giovane Repubblica e ai rischi di un ritorno del fascismo inteso come minaccia dittatoriale erano molto sentiti dalla gente. Dunque in quel dibattito De Gaulle veniva considerato, non solo dalla sinistra ma anche da ampi settori del centro, una minaccia fascista. Perché? Perché era stata appena approvata la riforma costituzionale da lui fermamente voluta. La Francia viveva ancora il dramma della guerra d’Algeria, c’era una patologica instabilità dei governi, la struttura amministrativa faticava a prendere decisioni e a portarle a compimento.
La riforma di De Gaulle modificava le funzioni del Parlamento, affidava al presidente della Repubblica eletto dal popolo il potere di governo, il primo ministro aveva un ruolo politicamente subalterno a quello del presidente della Repubblica.
Se trascuriamo gli abbagli delle interpretazioni politiche di quel tempo che sembravano descriverci una specie di marcia su Roma fatta da De Gaulle e se riflettiamo invece su ciò che era accaduto allora in Francia, comprendiamo una regola fondamentale ed elementare: quando la storia mette di fronte una nazione alla necessità di vincere sfide politiche ed economiche decisive per le sue stesse sorti, e le strutture istituzionali non sono in grado di garantire il successo, si deve riformare la Costituzione del Paese.
Il governo Berlusconi si è mosso seguendo quella regola fondamentale ed elementare, riformando la nostra Costituzione con provvedimenti che semplificano la burocrazia amministrativa, snelliscono il Parlamento, rendono più rapide le decisioni del governo, decentrano sul territorio alcune competenze. Nessuno oggi è così ridicolo da poter parlare, come ai tempi di De Gaulle, di un attentato fascista alla Costituzione. Tanto è vero che tutte le parti politiche, anche quelle che si schierano per il «no» in occasione del referendum di domenica prossima, ritengono che la nostra Costituzione mostri i segni della vecchiaia e che vada riformata.
Ma la questione non è cosa e come si deve modificare della Costituzione, ma capire che il problema essenziale è che la Costituzione si deve modificare. Anche la nostra storia ci ha portato a una svolta, a un mutamento da tutti riconosciuto, rispetto alla realtà politica e sociale di sessant’anni fa quando fu firmata la nostra Carta costituzionale: non c’è più il pericolo della dittatura fascista, quindi il presidenzialismo non può spaventare; non ci sono rischi di imboscate parlamentari che possano minare la vita democratica, quindi è inutile e una perdita di tempo il fatto che una legge debba essere contestualmente approvata sia dalla Camera che dal Senato; nessuno oggi può sensatamente sostenere che il passaggio di competenze alle Regioni mini l’unità dello Stato, quindi le modifiche in senso federalista apportate alla Costituzione tendono ad avvicinare, non allontanare, i cittadini alle istituzioni.
Le modifiche alla Costituzione entreranno in vigore nel 2011 per una parte, per l’altra nel 2016. La sinistra al governo ha tutto il tempo per rivederle; ma votando «no» al referendum qualsiasi percorso riformatore verrà bloccato.

Perché allora tanta determinazione della sinistra per bocciare la riforma costituzionale? Perché ormai la sinistra svolge in Italia un ruolo conservatore. In Spagna la sinistra ha varato una riforma federalista radicale; da noi essa rifiuta di misurarsi con la storia preferendo anacronistiche prese di posizione ideologiche.

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