I partigiani con le stellette espulsi dalla Resistenza

Questo non è il solito libro sulla ’ndrangheta. Malacarne di Andrea Pamparana (Marco Tropea, pagg. 256, euro 16,50) è la sceneggiatura perfetta per raccontare il sistema che l’ha resa la più potente organizzazione criminale al mondo, e non è un caso che qualche agente cinematografico ci abbia già fatto un pensierino. Ma la ’ndrangheta non è fiction: è una rete di potere che dalle montagne dell’Aspromonte ha messo radici ovunque, dall’Africa al Sudamerica. La cocaina è l’assoluta protagonista del libro, ma nessuno, dal contabile calabrese che vola in Colombia a trattare l’acquisto all’ultimo grossista in Italia pronta a portarla in un laboratorio per trasformarla in bustine da 120 euro l’una, ne fa mai uso. Si compra, si vende, si spaccia ma non si tocca.
Qui non siamo nella Roma dei magliari strafatti stile anni ’70, ma nell’era digitale dei telefonini criptati e dei pizzini virtuali spediti da un capo all’altro del mondo a persone mai viste né conosciute, con un pensiero alla fidanzata nel villaggio sperduto in Calabria e ai soldi, tanti ma per niente facili, con cui costruire una vita apparentemente normale, senza vizi. Qui ci sono nomi, inchieste, famiglie e operazioni che non sempre, a torto, trovano il giusto spazio sui giornali. Ogni arresto è figlio di un errore, ed è questo forse l’unico pericolo per le formichine del business criminale: distrarsi un secondo, come fa uno dei protagonisti. È questa la speranza delle centinaia di investigatori che passano al setaccio mezze parole apparentemente inutili, tabulati e fotografie. Qualche volta va bene, la fortuna aiuta l’audacia di chi combatte con armi non sempre pari un’organizzazione che non deve chiedere il permesso a nessuno per fare e disfare. Anche se il risultato sembra modesto, come nell’operazione magnificamente raccontata nel libro in un vorticoso zapping che lascia il fiato sospeso.
Quasi tutti gli intermediari catturati saranno a breve sostituiti, e le eventuali falle del sistema analizzate e risolte. Per il lettore la tentazione di stare con i «cattivi», specie quando si viene proiettati nell’abisso di una realtà degradata come la Calabria, spunta a ogni pagina.

È il rischio che si corre quando si racconta lo scontro tra gli sforzi sovrumani di chi difende la legalità, come i piccoli eroi della Direzione centrale per i servizi antidroga, nel loro bunker del Tuscolano a Roma, e la spregiudicatezza che caratterizza le migliaia di pezzi di malacarne, pedine quasi sempre intercambiabili su cui la ’ndrangheta, negli anni, ha costruito il suo enorme potere.
felice.manti@ilgiornale.it

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