I reduci di Salò e il riconoscimento di combattenti

Caro Granzotto,
«La resa dell’Italia fu uno sporco affare. Tutte le nazioni elencano nella loro storia guerre vinte e guerre perse, ma l’Italia è la sola ad aver perduto la guerra con disonore, salvato solo in parte dal sacrificio dei combattenti della Rsi». Dal Diario di guerra del Generale Eisenhower.
1945 - 2005
A sessanta anni dalla fine della guerra gli ormai ottantenni reduci della Rsi attendono dal nostro Governo la qualifica di combattenti loro riconosciuta dai vincitori.
La speranza è sempre l’ultima a morire: chissà che con il tempo!



Tempo che deve essere misurato non in anni ma in generazioni, caro Grasso. Culturalmente, quelle nuove sono una tabula rasa (devo a Guia Soncini questa mirabilia: durante il programma televisivo “Campioni” alla domanda: «Chi prese il potere dopo gli Zar?», un concorrente rispose: “Rasputin”. Poi si corresse: “John Lenin”. Assemblaggio storico-pop del Lenin comunista e del Lennon dei Beatles). Essendo tabula rasa, rasissima, potranno imparare la storia - sempre che lo ritengano necessario e che qualcuno si prenda la briga di insegnargliela - senza il velo del pregiudizio. Le vecchie generazioni, al contrario, sono intellettualmente sclerotizzate dalla ideologia, dalla propaganda e dai dogmi dalla “vulgata”. Leggevo una intervista all’ottantatreenne Dante Isella, uomo di solidissima cultura ritenuto uno dei massimi filologi e critici letterari. Ebbene, secondo Isella non è legittimo «screditare il passato» ricordando che gran parte degli intellettuali furono, durante il fascismo, fascisti. «Come si fa a stilare liste di ignominia?» si chiede: «Il processo indiscriminato del passato finisce per dirci: tutti fascisti, nessuno fascista». E di conseguenza, sempre al fine di non screditarlo, quel passato, «è ingiusto affermare che i partigiani sono uguali ai ragazzi di Salò». Ingiusto, non sbagliato. Non contrario alla verità. Quando poi passa a dimostrare che a dispetto delle «liste di ignominia» non mancarono eroici intellettuali che sfidarono apertamente il fascismo, Dante Isella è commovente. Cita il caso di Gianfranco Contini e di Elio Vittorini. Del primo «quando stava a Friburgo, ogni giovedì sul quotidiano liberale di Bellinzona, Il Dovere, uscivano i suoi articoli militanti e civili». Da Friburgo. Su un giornale di Bellinzona. Del secondo, «lo sappiamo tutti che era un fascista di sinistra. Ma è proprio attraverso l’esperienza fascista che è arrivato a essere antifascista». Davvero una bella arrampicata sugli specchi e finché si seguiterà a praticare questo sport, l’arrampicata sugli specchi, stia certo, caro Grasso, che i reduci della Rsi la qualifica di combattenti possono sognarsela.
Paolo Granzotto

Ps: lo sa, caro Grasso, che quel giudizio sulla resa dell’Italia pare non sia farina del sacco di Eisenhower, ma di quello di Francesco Barracu, il sottosegretario della Repubblica Sociale fucilato dai partigiani? Lo afferma il capitano Harry C. Butcher che nel suo My Three Years with Eisenhower racconta come Barracu fece pervenire agli Alleati una “memoria” ove esprimeva il timore che i repubblicani (oggi “repubblichini”) fossero considerati tutti della stessa pasta, mentre - ci teneva a precisare - non era così.

Aggiungendo: la resa dell’Italia fu uno sporco affare eccetera eccetera.

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