Tra i rifiuti di Napoli è sparita la Iervolino

Meno male che qualcuno s’è deciso a fare la voce grossa. Il capogruppo dell’Udc in commissione Ambiente alla Camera ha ieri rotto risolutamente gli indugi e dichiarato: «Mi auguro che finalmente si decida di affrontare la questione con la necessaria serietà e che Napoli e tutta la Campania siano (...)
(...)definitivamente liberate dalla spazzatura». Finora s’era scherzato, o quasi. Ma è arrivato l’auspicio. Siamo salvi.
Al tempo della grande colata di rifiuti su Napoli, nel 2008, Berlusconi s’era mosso, ed era riuscito a far nettezza. Adesso l’immondizia ritorna, aveva perso una battaglia, ma non rinuncia alla guerriglia, e dall’opposizione si alzano voci di aspra critica per il fallimento berlusconiano. L’impresa straordinaria grazie alla quale una metropoli ammorbata era stata riportata a condizioni decenti viene ridotta a sceneggiata di breve corso, a marketing elettorale. La sinistra ha ritrovato slancio polemico perché delle tre poltrone locali che in precedenza occupava - Regione, Provincia, Comune - gliene rimane, probabilmente per poco, una sola: quella municipale di Rosa Russo Iervolino.
Non si fatica a immaginare che le stesse forze politiche dalle quali Napoli era stata issata al ruolo nauseabondo di capitale dei rifiuti stiano già dimenticando le loro enormi responsabilità: per ciò che avevano fatto, per ciò che non avevano fatto e per avere spesso a volentieri dato un’aureola di protesta sociale a manifestazioni camorriste e squadriste.
Bisogna chiamare con il loro nome gli episodi che in gran numero sono avvenuti nei giorni scorsi e nella scorsa notte. Con camion distrutti o resi inservibili, con vandalismi, con prepotenze d’ogni genere, mentre la quasi totalità del personale si dava per prudenza malata e vari sindaci si esibivano nella solita recita del «no alla discarica, no all’inceneritore» e così via. Il che diventa a un certo punto il solito sì al disordine e alle infiltrazioni camorristiche.
Si può tutt’al più imputare al Cavaliere e al sottosegretario Bertolaso la colpa d’essere stati troppo ottimisti, sottovalutando le insidie della realtà con cui si confrontavano. Credevano d’avere debellato il pattume, l’avevano soltanto costretto a non straripare, per qualche tempo. Un errore, forse. Determinato dal fatto che l’intervento del governo e della Protezione civile avvenne all’insegna dell’emergenza. Si chiese all’esecutivo di ripulire Napoli e Napoli fu ripulita. Purtroppo in Italia vige l’abitudine di rendere perenni le emergenze, trasformandole in piaghe sociali inestirpabili. Ed è diffusa, nelle amministrazioni e nei cittadini (in particolar modo amministrazioni e cittadini del sud) la tendenza ad accettare questa fatalità con la solita giustificazione, o il solito pretesto: che mancano i mezzi. Non che le istituzioni pubbliche navighino nell’oro. Ma i lamenti per la penuria di risorse provengono spesso e volentieri da enti in cui presidenti o consiglieri o portaborse, in numero smisurato, sono retribuiti con munifica larghezza. Non si tratta soltanto di trovare quattrini. Si tratta di liberare Napoli e la Campania dai miasmi malsani della sottopolitica, dalle connessioni ambigue con gentaglia violenta se non con la criminalità organizzata, dalla inefficienza di politici e di burocrati che si distinguono per la verbosità dilagante.

Sarebbe bello vedere, in questo revival di situazioni critiche per i rifiuti, uno scatto d’orgoglio delle istituzioni locali che evitassero il consueto appello al governo e contassero sulla loro capacità di essere efficienti e virtuose. È vietato illudersi, non è vietato sognare.

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