Milano - Chiamateli, se volete, sopravvissuti. Lo sono. I Simple Minds erano stellari negli anni Ottanta, quando la new wave brillava nel menu del giorno e lui, il cantante Jim Kerr, era uno dei sex symbol, non bello ma fascinoso e, soprattutto, a cavallo di una voce dolce e sinuosa. «Un dono di Dio» dice lui, modesto. La risentirete tale e quale, forse appena più corposa, al debutto italiano del 3 luglio all’Arena Civica Gianni Brera di Milano, dove loro, quasi cinquantenni, suoneranno al Milano Jazzin’ Festival un concerto d’altri tempi: musica vera, basso, chitarra e batteria, e pure passione, quella di chi ha iniziato a suonare in cantina e alle note ha legato comunque la sua vita anche quando sembrava andare a fondo. «Abbiamo iniziato a Glasgow trent’anni fa e nessuno di noi riusciva a immaginarsi ciò che sarebbe successo», spiega ora.
Per capirci, nell’estate del 1984 la loro Don’t you (forget about me) faceva a gara con Billie Jean di Michael Jackson in tutte le discoteche del mondo: ritmata, potente, cantabilissima. E i Simple Minds, che sfornavano album favolosi come New gold dream o Once upon a time, si dividevano con gli U2 le figurine del rock: più elettronici loro, e meno stradaioli; più elettrici gli altri, e più visionari. «Ma a quei tempi c’erano anche i Depeche Mode e i Cure, tutti gruppi che hanno segnato la storia degli anni Ottanta e anche dopo». Intanto lui, scozzese fuori dal coro perché gioviale e gentilissimo, macinava un po’ di politica, quella attiva, solidale, mica partitica. Prima Nelson Mandela e la lotta all’apartheid in Sud Africa. E poi Amnesty International. Sì, certo, anche Bono degli U2 si stava già dando da fare senza se e senza ma. Però una volta Jim Kerr ha spiegato la differenza tra loro dicendo più o meno: «Bono è un fratello per me. Si butta in ogni causa in modo estremamente genuino. Talvolta esagera: ricordo che un giorno mi disse: “Gordon Brown e Tony Blair sono i Lennon-McCartney della politica”. Al suo posto mi sarei sentito un “ruffiano”». Insomma, ecco perché i Simple Minds a un certo punto, metà anni Novanta, dopo qualche scivolone discografico, si sono arenati: troppo poco onnivori, troppo concentrati sulla musica e legati all’andirivieni dell’ispirazione. «Certo, non è andato tutto come volevamo», nicchia lui. Ma poi si spiega con un paragone: «Non avevamo più energia, le idee mancavano. Rimpianti? No, anche Bob Dylan nella sua carriera ha avuto problemi a comporre buone canzoni».
Intanto Jim Kerr, uno che se lo senti parlare non smetteresti mai, si è sposato due volte con due donne non a caso: Chryssie Hynde dei Pretenders (con una figlia dal nome bellissimo: Yasmin Paris) e Patsy Kensit, da cui divorziò nel 1996. Da allora i Simple Minds hanno iniziato lentamente a rinascere, dimenticati com’erano. E l’ultimo tour, quello che celebra i trent’anni di vita, è stata una sciccheria decorata in Gran Bretagna da una lunga fila di tutto esaurito, complice anche il bel cd appena uscito Graffiti soul. «Suoniamo le canzoni che la gente si aspetta. Ma anche quelle che non può prevedere a un nostro concerto». E quando lo dice, sorride misterioso. Sarà che tra pochi giorni, dimenticati i vizi, compirà cinquant’anni. Oppure è merito della sua nuova vita sotto il sole, quello che impone serenità.
Jim Kerr ha aperto da qualche tempo quello che lui definisce «un piccolo hotel» vicino a Taormina. Si chiama Villa Angela, c’è da rimanere senza fiato tant’è bello. «Ma purtroppo ci sto poco», spiega.
E poi tiene a precisare: «Lo so, è difficile immaginare uno scozzese che vive in Sicilia, che ama la sua gente e le sue abitudini: allora diciamo che sono uno scozzese atipico». Mica tanto. Quando gli chiedi: ma con tutti i milioni di copie vendute, lei sarà senz’altro ricchissimo, risponde a bruciapelo: «Uno scozzese non è mai ricco». Capito il tipo?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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