Politica

I sindacati tentano di fermare la protesta anti-italiani

Che sabato è stato quello degli ottantotto operai italiani che dormono su una nave nel porto di Grimbsy? Che sabato è stato quello di migliaia di lavoratori inglesi e gallesi, scozzesi e irlandesi che da tre giorni manifestano contro gli ottantotto italiani e gli altri operai portoghesi e tutti quelli che portano via un posto ai cittadini di Sua maestà?
Pub, football e l’attesa che il governo intervenga. L’Inghilterra sembra tornata indietro di trent’anni, era il 1979 quando i lavoratori della British Leyland mollarono l’officina e scesero in strada, con gli scioperi selvaggi, per urlare la loro rabbia contro il salario ridotto all’osso: «Miny car, miny pay», auto piccola stipendio piccolo, per tradurre così in modo scolastico. La Gran Bretagna non registrava ancora la grande invasione, da sei anni era entrata a far parte del Mercato comune europeo che aveva un respiro regolare, riferendosi a uno scenario ristretto. Dopo è stato il diluvio, è così come il mercato italiano ha dovuto fare i conti con l’afflusso enorme e abnorme di mano d’opera straniera, soprattutto in settori “dimenticati” e “trascurati” dell’artigianato, ecco che il Regno Unito ha finito di essere un impero, anche la famiglia Windsor taglia le spese e l’industria apre alla manovalanza che viene dal continente.
Ma la protesta di questi giorni sta gonfiandosi, i lavoratori di imprese diverse da quelle petrolifere si sono affiancati per solidarietà, il tam tam ha raggiunto le cose del nord, a St. Fergus dove la Shell ha un impianto di gas nell’Aberdeenshire e poi in Irlanda nella contea di Antrim e ancora nella raffineria chimica di Wilton o nel sud del Galles. Giurano, gli inglesi, che la protesta non ha radici e spirito xenofobo, insomma che gli italiani e i portoghesi non sono nemici, poi scopri che la battaglia è sotto traccia, che i britannici tornano sull’isola e tengono distanti gli «spic» e «portogoose», come venivano chiamati gli italiani «spaghettari» e i lusitani con il gioco di parole «porto-oca».
Il governo di Brown ha delegato l’Acas, l’acronimo di «Advisory conciliation and arbitration service», un ente indipendente che garantisce interventi di arbitrato nelle controversie di lavoro. Il tavolo è aperto, i sindacati chiedono la svolta, per sapere e capire con quali criteri la Total francese e la Irem italiana hanno “bypassato” il mercato del lavoro inglese riferendosi a quelle italiano e portoghese e, soprattutto, se i livelli salariali sono identici a quelli britannici. Nelle prossime settimane è previsto l’arrivo di un nuovo contingente di nostri operai specializzati, saldatori, esperti nei montaggi industriali. In verità i nostri lavoratori evitano il confronto, il sabato è giorno caldo, la birra e altri alcolici vanno via in dosi industriali e certe discussioni possono degenerare se ci sono di mezzo lo stipendio, un posto di lavoro, la disoccupazione. Ovviamente il dibattito ha superato la Manica e ha fatto il giro d’Italia: Veltroni e Calderoli hanno esposto le rispettive opinioni, come se il problema fosse di propaganda politica e non di spessore sociale, innanzitutto mondiale. Domani, lunedì si torna in fabbrica.

Forse.

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