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I sindaci che aiutano a fare più figli

Sono migliaia le famiglie in difficoltà. E se il governo sta a guardare, le amministrazioni locali hanno deciso di intervenire con contributi a chi ha bisogno: dalle tasse ai servizi

I sindaci che aiutano a fare più figli

A dispetto delle apparenze da persona normale, Maurizio Bernardi è un profeta. Un oracolo. Il vate delle politiche familiari. Prima che arrivasse lui a fare il sindaco, il paese di Castelnuovo del Garda (Verona) era conosciuto quasi soltanto perché ospita Gardaland. Ora questa località di 13.500 abitanti è l'epicentro di un fenomeno che continua ad allargarsi, quello dei comuni che decidono di intervenire a favore delle famiglie numerose e approvano provvedimenti a sostegno di chi fa figli. Nella sua Castelnuovo, Bernardi ha sperimentato e applicato il «fattore famiglia» dal 2012. Ora sono decine e decine le città e i paesi che si uniscono a questo movimento di buona amministrazione o che stanno studiando come applicarlo, dalle metropoli tipo Milano alle periferie lontane come Avola, in provincia di Siracusa.

Se in Italia nascono sempre meno bambini, è anche perché i governi e i sindaci aiutano poco le famiglie con figli. Bonus, detrazioni, voucher, coefficienti di reddito, assegni. Gli strumenti non mancherebbero; anzi, i governi si inventano sempre qualcosa di nuovo. Ma sono tutti strumenti generici. Chi avrebbe bisogno di un aiuto maggiore perché spende più di altri non lo riceve. Tra le mille polemiche che lo hanno accompagnato, il recente Congresso mondiale delle famiglie a Verona ha avuto il merito di fare conoscere che il mondo è pieno di esperienze diverse da quella italiana da cui prendere ispirazione. Nella vituperata Ungheria sovranista di Viktor Orban, per esempio, le famiglie numerose hanno sconti speciali per l'acquisto di un'auto, mentre le donne che si sposano possono sottoscrivere un prestito di 30.000 euro: un terzo viene condonato con la nascita del secondo figlio e l'arrivo del terzo bebè lo cancella del tutto. In Polonia la spesa sociale per la famiglia è salita dall'1,8 per cento del Pil nel 2015 al 3,11 per cento nel 2017; contestualmente il tasso di fertilità è cresciuto da 1,36 nascite per donna nel 2016 a 1,45 nel 2017. Non parliamo della Francia, dove da decenni le politiche familiari vengono applicate da governi di ogni colore.

L'INVERNO DEMOGRAFICO

L'Italia è in pieno inverno demografico; una crisi che, secondo l'Istat, nemmeno l'immigrazione riesce più a controbilanciare. Il saldo tra natalità e mortalità è negativo dagli anni Novanta. Sotto i 2 figli per donna non c'è ricambio tra generazioni e oggi nel nostro Paese il rapporto è fermo a 1,3. In altri Paesi, come Danimarca, Germania, Austria, Ungheria, Repubblica Ceca, Polonia, il crollo del tasso di natalità a un certo punto si è fermato e ha lasciato spazio a un'inversione di tendenza. Da noi no: non esiste una politica organica per le famiglie con figli e per quelle che vorrebbero averne di più.

Il tentativo più convinto è stato fatto nel 2010 quando il sottosegretario Carlo Giovanardi lanciò da Milano un Piano nazionale per la famiglia che prevedeva, tra l'altro, un inasprimento fiscale per i single destinando il ricavato ai nuclei con figli. L'anno dopo, la fine del governo Berlusconi trascinò nella caduta anche i progetti pro family. Prima che la crisi economica di dieci anni fa si abbattesse sull'Italia e che i governi - da Monti in giù - falciassero con pesantissimi tagli i trasferimenti agli enti locali, molti comuni avevano sperimentato soluzioni per alleggerire le tariffe dei servizi per le famiglie numerose.

Parecchie «buone pratiche» si erano diffuse sul territorio a sostegno dei genitori: dalle Tagesmutter nate in Alto Adige (mamme che trasformano le proprie case in micro nidi) fino alle molteplici misure varate dalle regioni del Nord. Veneto e Lombardia introdussero bonus e voucher per scuole, neonati e lavoratori giovani. La città di Parma, con il sindaco Pietro Vignali, promosse un network di enti locali che praticavano tariffe agevolate per i servizi; poi al municipio della città ducale arrivò il grillino Federico Pizzarotti e sulle politiche familiari si abbatté la ghigliottina. Il Piemonte anni fa sostenne le famiglie affidatarie e poche settimane fa ha approvato nuove misure di sostegno: peccato che il provvedimento, giunto alla vigilia del voto, non possa essere attuato.

L'esperienza di Castelnuovo del Garda è una delle poche che ha resistito. Bernardi ha coinvolto l'università di Verona nell'elaborazione di un algoritmo per correggere l'Isee, l'indicatore della situazione economica equivalente: un coefficiente valido per tutti e per nessuno è stato modificato in base ai carichi familiari effettivi (numero di figli, eventuali disabili, redditi dei genitori, condizione abitativa) arrivando a determinare un parametro personalizzato.

SERVIZI SOCIALI E TARIFFE

«Volevamo introdurre un criterio più giusto ed equo nell'assegnare i fondi che il comune destinava ai servizi sociali e alle tariffe», spiega Bernardi. «L'intento era individuare chi avesse davvero più bisogno di altri e dotarci di uno strumento di verifica agile che disincentivasse dichiarazioni poco veritiere». Il «fattore famiglia» di Castelnuovo, applicato dal 2012, interviene su mense e trasporto scolastici, rette dell'asilo nido e della scuola dell'infanzia, centri estivi. Il bilancio dal 2013 al 2018 elenca 172 famiglie aiutate in media ogni anno, con un picco di 237 nel 2017. I nuclei hanno avuto agevolazioni medie per 1.600 euro per i nidi (con picchi di 5.000 per le famiglie con figli più piccoli), 250 euro (con punte di 700) per le scuole materne, 150 euro per lo scuolabus.

Nel complesso, nel 2018 il comune ha speso 130mila euro, di cui quasi 98mila per i nidi. Parallelamente, seguendo un metodo in uso negli Stati Uniti e portato in Italia dal Centro italiano di studi sulla famiglia (Cisf) e dall'Università Cattolica di Milano, è stato misurato il «family impact», cioè il benessere familiare e il gradimento dei nuovi provvedimenti. Secondo la professoressa Elisabetta Carrà, che alla Cattolica insegna sociologia dei servizi alla persona, «le famiglie sono soddisfatte soprattutto perché il «fattore famiglia» va al di là del reddito per valutare tutte le dinamiche economiche di un nucleo familiare».

IL NON VALORE DEI BAMBINI

Ma prima di applicare l'algoritmo correttivo, occorre che qualcuno ci metta i soldi. Il «fattore» di Bernardi, senza modificare gli stanziamenti, ha consentito di allargare il numero di famiglie aiutate che non potevano essere considerate «povere» secondo il solo Isee. In compenso, per fare quadrare i conti sono state applicate tariffe più alte per chi ha meno figli e un reddito più elevato. «Prima che decidere quale algoritmo applicare, serve la decisione di fare pesare di più la famiglia nella fiscalità», conferma Francesco Belletti, direttore del Cisf ed ex presidente nazionale del Forum delle famiglie.

Il successore di Belletti, Gigi De Palo, ha lanciato pochi giorni fa una nuova proposta: niente più algoritmi e coefficienti, ma un bonus di 150 euro al mese per ogni figlio, indipendentemente dal reddito familiare, dall'Isee e dal lavoro dei genitori. L'assegno verrebbe incassato fino al compleanno numero 26 per gli studenti in regola con gli studi, con un importo crescente in base al numero di figli. Un intervento semplice, chiaro, uguale per tutti. L'idea è stata giudicata «condivisibile» da Luigi Di Maio: a disposizione, secondo il vicepremier grillino, ci sarebbe già un miliardo di euro non distribuito con il reddito di cittadinanza. Sarebbe un paradosso che proprio il Movimento 5 stelle, fortemente critico con il Congresso delle famiglie, superasse in curva l'altro vicepremier Matteo Salvini, che a Verona c'era, nella gara delle politiche pro family.

C'è anche uno scoglio culturale da superare, che Belletti spiega così: «La scarsa considerazione verso la famiglia è figlia anche di una stagione pauperistica. Le famiglie numerose erano considerate povere e retrograde, dunque non meritevoli di aiuto. Oggi siamo all'opposto: i genitori con tanti figli contrastano il calo della popolazione e andrebbero sostenuti economicamente. Ma non incontrano il favore del mainstream culturale, perché una coppia con tanti figli è considerata irresponsabile. Se li avete voluti, ve li pagate senza chiedere contributi pubblici: questo si sentono dire le famiglie numerose.

In un caso o nell'altro, la famiglia».

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