I trucchi dei pm per tenere in ostaggio il Cav

Un'ossessione lunga sedici anni. Contro il premier inchieste infinite e avvisi di garanzia a mezzo stampa, come nel '94. Teoremi rilanciati anche a costo di stravolgere il Codice. Ma per l'accusa solo flop

I trucchi dei pm per tenere in ostaggio il Cav

Sedici anni dopo, si torna al punto di partenza. Sedici anni dopo, la caccia prosegue secondo lo spirito di colui che la iniziò nell’ormai lontano 1994. «Io a quello lo sfascio», confidò un non proprio elegante Antonio Di Pietro a Francesco Saverio Borrelli prima di procedere all’interrogatorio dell’imputato più famoso d’Italia. Quel faccia a faccia non ci fu, lo spartito è rimasto: la celeberrima toga lasciò precipitosamente la magistratura, ma il grande assedio a Silvio Berlusconi, un Berlusconi appena sceso in campo, era cominciato e non è mai più finito.

Si sa, la guerra si combatte con tutti i mezzi: con inchieste lunghissime, con avvisi di garanzia più rumorosi di un colpo di cannone, con processi rapidissimi e con tutti i più raffinati strumenti messi a disposizione dal codice. È così dal 1994. Prima a Milano, ora a Roma e ancora a Milano dove tutto ha avuto inizio nel novembre ’94. Il primo avviso di garanzia fu recapitato direttamente in edicola dal Corriere della Sera nel corso di un summit mondiale contro la criminalità organizzata. Un disastro d’immagine a livello planetario e un colpo decisivo, insieme alla defezione della Lega, al governo del Cavaliere.

Sedici anni dopo, siamo ancora a misurarci con gli avvisi di garanzia e da Roma arriva un copione già visto a Milano: si avanza sul confine della prescrizione e si prova a spostarla in avanti, ma tutti sanno già come andrà a finire questa storia. Ed è anche evidente che questo è l’ultimo frutto di un unico, rigoglioso albero genealogico che non smette mai di crescere.

Del resto, è nell’aula del processo Berlusconi che un giudice, Carlo Crivelli, non un pubblico ministero, dice al pm Gherardo Colombo una frase malandrina che è passata alla storia: «Con gli imputati occorre usare il bastone e la carota». Non proprio il massimo per chi dovrebbe essere super partes, equidistante, a metà strada fra l’accusa e la difesa. Non sa, Crivelli, che a fine udienza i microfoni sono rimasti accesi e la frase è stata catturata. Pazienza.

In questi anni si è provato in tutti i modi a tenere in vita capi d’imputazione che facevano la muffa da troppo tempo e stavano per finire in soffitta. Fra i cimeli della cronaca giudiziaria. Nel 2007 è un altro Pm, che idealmente ha raccolto il testimone lasciato cadere tanto tempo prima da Di Pietro, ad incidere questa frase ammonitrice: «La prescrizione sarebbe una soluzione perdonistica anomala che lascerebbe troppi dubbi su un personaggio come Silvio Berlusconi nel momento in cui entrava in politica». Così, al processo Mills, il più gettonato dalle recenti cronache, si è assistito ad un raffinato gioco da parte della procura: i Pm hanno premuto ora il freno e ora l’acceleratore. Nel troncone dell’avvocato David Mills la giustizia ha battuto, anzi polverizzato, ogni record: primo, secondo e terzo grado nell’arco di un anno. Numeri da fantascienza per la giustizia italiana. Sul versante Berlusconi, invece, per non perdere in corsa l’imputato eccellente si è tentata una nuova interpretazione della solita prescrizione. Fabio De Pasquale ha teorizzato la corruzione susseguente in atti giudiziari. Tradotto in italiano, il reato non scatta quando materialmente il denaro passa di mano ma nel momento in cui il presunto corrotto comincia a spenderlo.

Insomma, invece di processare Berlusconi una volta per tutte lo si tiene perennemente sul banco degli imputati e le accuse non cadono mai. Un meccanismo analogo, fatti i debiti paragoni, con quello messo insieme dalle procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze che indagano sulle stragi di mafia del ’92-93. Berlusconi è stato indagato per reati gravissimi, poi la sua posizione è stata archiviata, ma non per sempre perché in un momento successivo quei procedimenti sono stati riaperti.

Nei dibattimenti per corruzione il meccanismo è analogo: l’accusa va all’attacco dal 1994 anche se dal ’94 non ha collezionato un successo che fosse uno.

L’assedio prosegue. E le accuse rottamate vengono puntualmente rilanciate. Così il solito De Pasquale si cimenta, nientemeno, con l’agenda del governo e del Consiglio dei ministri. De Pasquale ha fretta, non vuole perdere per strada pezzi del dibattimento e dunque decide di far sentire la sua voce e di esaminare, punto per punto, le mosse del premier. Così s’intromette e inizia a contestare la richiesta di rinvio per legittimo impedimento di un’udienza.

Secondo lui, infatti, all’ordine del giorno risulterebbero «provvedimenti di non particolare rilevanza e urgenza» quali, ad esempio, «la diffusione del turismo sportivo tramite il golf e problemi linguistici dell’Alto Adige».
Ora, a Roma, ecco l’ultima fronda dell’albero genealogico. E l’ennesimo tentativo di non far morire capi d’imputazione che nascono già vecchi.

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