nostro inviato a Torino
«Può esistere un Salone del Libro senza Umberto Eco?» chiede il direttore della manifestazione, Ernesto Ferrero, alla platea più scelta del Lingotto. «Noooooooooo», intona la platea della nuovissima sala Oval, aspiranti scrittori, studenti e professoresse democratiche. Il tema della lectio magistralis del professore è «Libertà e coercizione dello scrittore», ma il direttore della kermesse scommette che si parlerà più delle coercizioni che della libertà. Intanto si prenota già per il 2012, se non succederà nulla di particolare. «Nel 2012 ci sarà la fine del mondo» butta lì Eco. Però, come diceva il poeta Jerzy Lec, «non aspettatevi troppo dalla fine del mondo». Sicuri che è meglio tenersi Eco con le sue coercizioni?
Terminato il fuori programma dell’incipit, il guru prende a leggere il suo intervento - scritto per l’occasione? riciclato da una precedente lectio? - sprofondando nel più erudito narcisismo. Risolini, sbadigli, zero applausi. Il pubblico ascolta, educato e distante. Più o meno stessa situazione con Erri De Luca, Piergiorgio Odifreddi, Franco Cordero. Dall’uscita anti premier di quest’ultimo, che su Repubblica ha anticipato il suo intervento accostando il governo Berlusconi al periodo hitleriano, si è dissociato persino lo stesso Ferrero: «Caro Cordero, il salone è luogo del dialogo, non dell’invettiva», ha detto. Una presa di distanza della direzione dall’intervento di un ospite di cui, da queste parti, non ricordano precedenti. (Segue una barocca dissertazione di Cordero che parte da Leopardi, Manzoni e Gioberti).
La 24ª edizione del Salone torinese che si conclude domani ha già battuto il record di guru del pensiero, la maggior parte dei quali trasposti in vetrina direttamente dalle colonne di Repubblica, la testata più rappresentata alla kermesse, oggi consacrata nel dialogo tra Gustavo Zagrebelsky ed Ezio Mauro. Per questo è il posto giusto per chiedersi che cosa c’è dopo i venerati maestri? Che cosa diventano i maestri dopo essere stati venerati abbastanza? Diventano guru egoriferiti. Cristallizzati nel loro narcisismo, nel culto della personalità: la loro. Il pubblico e le platee di giovani? Inermi, silenti, paralizzati dall’intellettualismo che promana dal palco. Niente comunicazione. Coinvolgimento rasoterra. Vibrazioni non ne passano. Al massimo una tecnica di scrittura, di analisi, di critica. Oppure un certo piacere nel sentirsi parlare, oracoleggiando, come nel caso di Scalfari. «Ho scritto sei romanzi» sbuffa Eco, «ma tutti ricordano Il nome della rosa, maledizione. Non voglio farmi dire bravo» sottolinea prima di declamare il suo lipogramma, un testo scritto per gioco tutto con la «a», intitolato La mamma. E qui l’applauso è d’obbligo. Niente più. Anche le domande le anticipa lui stesso. E marzullescamente si risponde.
Nella stessa sala Erri De Luca ha da poco terminato la sua relazione «Sulla traccia di un alfabeto antico», un’ora di «passeggiata nella sacra scrittura» quando, interrogato dal pubblico, è costretto a dire che questi studi non li fa da storico e linguista. Né soprattutto da credente. «Perché io escludo la divinità dalla mia vita - dice proprio così - ma non la escludo dalla vita degli altri». Com’è buono lei direbbe il ragionier Fracchia nei panni del pubblico in sala, messo in confusione dalla prosopopea del guru che esclude l’interferenza divina forse perché divino è egli stesso. Che cosa poi possa conciliare simil impegno sui sacri testi con un dogma tanto negazionista resta domanda irrisolta. Sarà presunzione o protervia?
Si resta in zona anche dalle parti di Piergiorgio Odifreddi, il guru del far di conto. Il quale, presentando il suo Caro Papa ti scrivo, ha confessato papale papale che da bambino sognava esattamente di diventare Papa. Nel 1959 in tv c’erano due personaggi, Mike Bongiorno e un altro signore vestito di pizzo e gioielli che avanzava su un trono regale. Lui voleva essere il secondo e poco dopo entrò in seminario, poi ne uscì perché si accorse che la strada era lunga e prima di percorrerla avrebbe dovuto sopportare anni di ordini e comandi altrui. Però un po’ il pallino gli è rimasto e quando, di recente, ha letto Introduzione al cristianesimo scritto da Ratzinger nel 1968, ha pensato bene di rivolgersi direttamente a lui perché, ha detto senza ridere, lo considera «un suo degno avversario».
Ambisce invece a entrare nell’empireo dei grandi filosofi, da Platone a La Rochefoucauld, il fondatore di Repubblica ossequiato da una platea in cui, oltre a moglie e figlie, spiccavano Piero Fassino e Alberto Asor Rosa, bramosi di ascoltarlo sull’ultimo lavoro Scuote l’anima mia Eros. «Voi siete la mia famiglia, anzi un campione della mia famiglia» ha concesso Scalfari dopo un po’ che discettava di Giove, Mercurio e Saturno. «Sotto sotto vi aspettate che parli dell’attualità \ ma siete stati audaci perché il mio libro parla d’altro». Però, dài e dài, «nella caverna degli istinti il protagonista è Eros che si esprime attraverso l’amore di sé, l’amore dell’altro e l’amore degli altri. Quando l’amore di sé varca i limiti fisiologici diventa patologico» ha preparato il terreno, flautate, Scalfari. «E gli esiti sono la megalomania, l’egolatria, il narcisismo» ha garantito dal suo pulpito. «Non a caso Silvio ha fondato il partito dell’amore. Vuol essere amato e cooptare chi lo ama.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.