Leggo la dichiarazione di Fabrizio Cicchitto: «Io, laico, non potevo andare con Berlusconi. Non aderisco a un manifesto che dice: Noi cattolici». Provo a capire. Cicchitto è il vice coordinatore di Forza Italia. Berlusconi ne è il fondatore. Forse luno è credente, e laltro no. Ma entrambi, a mio vedere, sono laici. In cosa Cicchitto è diversamente laico rispetto a Berlusconi? Potremmo immaginarlo nella personale condizione di chi non crede rispetto a chi crede: uno laico non cattolico, l'altro laico cattolico.
Ma era laico anche, e forse non cattolico (o meglio non praticante), Benedetto Croce, il quale, con formidabile chiarezza laica, aveva dichiarato, una volta per tutte: «Non possiamo non dirci cristiani». Cosa intendeva dire? E che cosa ci dice di più, rimarcando le distanze, Cicchitto? Che «laico» e «cristiano» (ma anche «cattolico») non sono contrapposti, ma sono compatibili in ambiti culturali nei quali concorrono letteratura, costume, consuetudini, modelli di comportamento, fino al punto di investire la politica di una missione religiosa con un partito dominante quale fu la Democrazia cristiana. Cicchitto conviene che una democrazia possa essere «cristiana»? Certo, si potrà obiettare. «Ma lui era socialista». Quindi laico.
Gli risulta che qualche democratico cristiano o qualche cristiano abbia limitato il suo essere socialista? La reciproca tolleranza ha consentito di convivere e di allearsi, in numerosi governi, a democristiani e socialisti, senza soffrire incompatibilità; fino a dissolversi in un solo partito, cui Cicchitto ha aderito con convinzione e con responsabilità, che è Forza Italia. Segno che i fondamenti politici e culturali e le ideologie di socialisti e democristiani erano compatibili.
Forza Italia è stata per certi versi un laboratorio del Partito democratico: con maggiore disinvoltura e senza drammi (che non fossero, come sono stati, danni individuali), Berlusconi chiamò e convinse a convivere laici e moderati come lui, liberali democristiani, socialisti, repubblicani, nessuno dei quali si sentì mai in conflitto, né all'interno del Partito, né al governo.
Tanto poco la componente cattolica fu prevalente, che molti suoi ministri furono reclutati tra gli esponenti del dissolto Partito liberale, o liberali di fatto, Martino, Urbani, Biondi, Costa, Tremonti, Frattini, cui si aggiungono i socialisti Caldoro, Boniver, o i repubblicani come La Malfa.
Ma perché dissociarsi ora? Perché rimarcare confini ideologici obsoleti? A ben vedere, c'è molto più dogmatismo nelle posizioni di Pannella e della Bonino che intendono laico come contrapposto a cattolico in modo schematico e artificioso.
Per costoro, la Chiesa dovrebbe rinunciare a una presenza attiva nella società, la quale, autodeterminandosi, non dovrebbe essere contaminata dai principi cattolici. Ma la Chiesa esiste nella storia e il suo indirizzo morale investe i comportamenti degli uomini anche in quanto cittadini.
Dante, Michelangelo, Manzoni, Parini non si insegnano soltanto nelle scuole private religiose, ma in tutte le scuole, perché la Chiesa penetra nella società, nella vita culturale, e nella vita civile. Man mano che le società mutano i costumi, le dosi di questa osmosi cambiano. Ma non esistono una vita cattolica e una vita laica, contrapposte e incomunicanti. Anzi, se vi è uno spirito clericale, dogmatico e fanatico, è quello espresso da un leader come Pannella nel rapporto con i suoi seguaci. Un leader carismatico, come il sacerdote di una religione che non ammette contrasti e discussioni. Craxi fu in grado di rinnovare il Concordato; Pannella lo avrebbe spezzato. Berlusconi e i suoi non possono immaginare i loro elettori divisi fra cattolici e laici. Ed è anche estremo vederli come «anticomunisti». Se così fosse, nella vicenda del Family day, non avremmo riscontrato le contraddizioni, dubbi, le perplessità simmetriche del Partito democratico, anch'esso alla (più disperata) ricerca di non definire un confine fra gli uni e gli altri. Improvvisamente, ho ritrovato un pensiero e una dimensione perduti: mentre celebravo l'anniversario dei cento anni dell'Istituto Gonzaga a Milano con il cardinal Tettamanzi avevo davanti, con il rappresentante della Chiesa, un modello di società che, nella scuola, evidenziava un diverso concetto di laicità.
I professori e i responsabili dell'istituto fondato nello spirito di San Giovanni Battista de La Salle, si chiamano «Fratelli delle scuole cristiane». Anch'io vi fui iscritto dalla quinta elementare alla terza media, nell'Istituto Canonici-Mattei di Ferrara. I professori non erano sacerdoti, ma fratelli. E rimarcavano questa differenza chiamandosi «laici». Avevo 9 anni, e per la prima volta sentii questa denominazione che segnalava la differenza con i sacerdoti ordinati. La parola «laico» indicava uno stato civile non incompatibile con l'essere cattolico. Non una contrapposizione, ma un modo di essere: laici e fratelli delle scuole cristiane. Cristiani nelle convinzioni e nei proponimenti educativi, senza essere preti. Esattamente la condizione, laica, di gran parte di quanti, cattolici, erano in Piazza San Giovanni e che non sono disponibili a sentir chiamare pedofili i preti come ha fatto Vauro nella vignetta su il manifesto. Ma se monsignor Bagnasco accenna alla pedofilia, i laici doc reagiscono inviandogli pallottole. Dopo gli anni del collegio, non ho più sentito parlare di laici se non nell'ambito della politica.
Il significato era slittato da quello di Fratelli delle scuole cristiane a quello degli anticlericali come Cicchitto e Pannella.
Vittorio Sgarbi
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