I veri segreti di Na Li: lo smacco a Confucio e un divorzio a metà

Un divorzio può cambiare la vita, figuriamoci una carriera. È successo a Na Li, giusto qualche mese fa, ma il suo matrimonio è ancora una meraviglia e allora ecco perché si è buttata sulla terra rossa di Parigi sorridendo al marito Jiang Shang, che naturalmente lì in tribuna ha ricambiato. Pensando magari all’assegno di un milione e centomila euro che non dovrà dividere con nessuno, se non con colui che lo ha soppiantato.
Perché questa è stata la svolta di una vita: Na Li, dopo aver raggiunto la finale di Melbourne a inizio anno, si è infilata in un tunnel negativo e ha deciso di licenziare il suo coach. Ma siccome questo coincideva con il marito, si è tenuta quest’ultimo e si è affidata a Michael Mortensen, con il risultato che tutto hanno visto. «Ho fatto bene no?», diceva sorridente già qualche settimana, «non potevo mica vivere sempre con lo stesso uomo 24 ore su 24...». Scene da un matrimonio. Vincente.
Ecco insomma la Cina sul tetto del tennis, con quella che i suoi stessi dirigenti considerano un «gran mal di testa». Perché Na Li sul trono del Roland Garros ci è arrivata da sola, partendo dal badmington e fermandosi perfino due anni prima di cominciare la seconda carriera e la sua nuova vita. E soprattutto decidendo di lasciare quella federazione che pretendeva più della metà delle sue vincite - quelle che ora lei e Shang non divideranno con nessuno - e non voleva con si facesse tatuare quella scandalosa rosa su petto. Un mal di testa continuo Na Li, che a Pechino ora cercheranno di farsi curare, se vogliono davvero strombazzare a tutto il mondo la loro superiorità. Anche tennistica.
In realtà la conquista di un nuovo mercato nasce da una considerazione molto poco nobile. Ovvero che le donne sono inferiori e dunque vanno spronate a giocare uno sport inferiore. Almeno secondo Confucio, perché in Cina badmington e ping pong sono roba soprattutto da uomini e dunque ecco che se c’è da conquistare uno così strano meglio mandare avanti le donne. Na Li è solo la punta della piramide, e lei stessa dice - molto confucianamente - «che più ampia è la base, più alto sarà il vertice». Così ecco che a Parigi con lei - tra tornei da grandi e quelli junior - c’erano altre sette soldatine, mentre tra gli uomini era lo zero assoluto. E in fondo la classifica parla chiaro: Na Li ora entrerà tra le prime cinque del mondo, mentre il primo cinese nel ranking è il numero 354. Si chiama Bai Yan, e una volta che l’anno scorso è riuscito a passare il primo turno di un torneo Atp, ha protestato: «Noi cinesi potremmo fare molto nel tennis, ma ci servono coach, strutture e campi». Non lo ha ascoltato nessuno.
Perché in Cina era tutto previsto, fin da quando - nel 2000 - il neo presidente della federazione Sun Jingfan decise di dare una svolta, e le donne erano il target giusto. Si vabbè, gli investimenti erano per tutti, uomini compresi. Ed è vero che il primo successo cinese è arrivato alle Olimpiadi del 2004 nel doppio con Li Ting e Sun Tian Tian, due uomini. Ma è anche vero che di loro non si sa più nulla, mentre ogni anno i campi a disposizione sono aumentati del 15 per cento - ora sono 65mila - e che sono arrivati da lontano i soldi della Mercedes per un piano di crescita di tornei e tennisti. Meglio se tenniste.
Così Na Li è la guida di un movimento che ora conta 14 milioni di praticanti, con moltissime donne attirate dall’idea - così come raccontano i coach - di avere dei vestiti nuovi per giocare a tennis. Facile, insomma, trovare nuova linfa in un Paese che può mettere 400 milioni di persone - tra tv e giornali - a seguire il match che porta alla gloria, anche se in campo c’è una ribelle. Ma difficile far capire ai cinesi che a tennis giocano anche gli uomini, se una semifinale come quella tra Federer e Djokovic - una delle partite più belle giocate a Parigi - viene oscurata dalla imperdibile sfida della nazionale di pallavolo sul canale sportivo della CCTV. Come dire: non importa.


Insomma, con Na Li la Cina ha sfatato un nuovo tabù e d’ora in poi sarà più dura per tutti anche sotto rete. Ma siccome alla fine per farlo al partito popolare è capitata la donna (per loro) sbagliata, almeno si terranno il mal di testa.

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