da Roma
Nichilismo e relativismo sono «nemici che tentano di espugnare le nostre città», nutrendo «tendenze egemoni» che giustificano laborto, leutanasia, lo scardinamento del matrimonio, le violenze e il terrorismo. Sono parole forti quelle che il vescovo Giuseppe Betori, segretario della Cei, pronuncia nella cattedrale di Gubbio in occasione della festa di SantUbaldo. Una meditazione che si trasforma in analisi e non fa sconti.
Betori paragona il segno di croce tracciato da SantUbaldo, «che pose fine allassedio delle città nemiche» ma «che giunse solo alla fine di un itinerario di conversione del popolo», con la situazione attuale dellItalia. Oggi «nuovi nemici tentano di espugnare le nostre città - afferma il vescovo -, sovvertire il loro sereno ordinamento e creare turbamento alla loro vita». Quali sono questi nemici? «Si chiamano - spiega Betori - nichilismo e relativismo, che in modo più o meno esplicito nutrono le tendenze egemoni nella nostra cultura: fanno dellembrione, lessere umano più indifeso, un materiale disponibile per sperimentazioni mediche; danno copertura legale al crimine dellaborto e si apprestano a farlo per le pratiche eutanasiche, infrangendo la sacralità dellinizio e della fine della vita umana... Oscurano la verità della dualità sessuale in nome di una improponibile libertà di autodeterminazione di sé; scardinano la natura stessa della famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna». Ma questi nemici, secondo il numero due della Cei, introducono anche «il concetto apparentemente innocuo di qualità della vita, che innesca lemarginazione e la condanna dei più deboli e svantaggiati; coltivano sentimenti di arroganza e di violenza che fomentano le guerre e il terrorismo; delimitano gli spazi del riconoscimento dellaltro chiudendo allaccoglienza di chi è diverso per etnia, cultura e religione; negano possibilità di crescita per tutti mantenendo situazioni e strutture di ingiustizia sociale».
Betori spiega che «occorre avere consapevolezza di questa battaglia in corso attorno alla persona umana e alla sua dignità e di quanto essa sia decisiva per il futuro della società». Al tempo stesso però aggiunge: «Occorre anche riconoscere che può salvarci solo il riferimento al Dio creatore e alla sua legge scritta nei nostri cuori, e a noi rivelata in pienezza da Gesù che ci offre anche la grazia di adempierla». E qui il segretario dei vescovi italiani ripropone la sfida di Benedetto XVI, chiedendo «a tutti, credenti e non credenti, di vivere etsi Deus daretur, come se Dio esistesse, ribaltando lipotesi che ha retto il pensiero e lagire della modernità, letsi Deus non daretur, il come se Dio non ci fosse, che ha prodotto i forni di Auschwitz e i gulag della Siberia. Se vogliamo difendere il vero volto delluomo abbiamo bisogno di riscoprire il volto di Dio». E il volto di Dio, ha continuato Betori, è quello dellamore. «Non però lamore debole che nasconde la verità, che crea ambiguità sotto il velo della falsa tolleranza, bensì quello esigente che non rinuncia a ferire per curare, a distinguere per poter allacciare ponti veri e non a voler rendere tutto fittiziamente omologo, a richiamare alla responsabilità senza indulgere in un buonismo alla fine perdente». Questa visione della carità, «che non rinuncia alla verità, ma proprio per questo è capace di generare progetti di novità di vita nella sfera individuale e in quella sociale, è ciò che è chiesto oggi ai cattolici», ha concluso il segretario della Cei.
Le parole di Betori hanno provocato immediate reazioni politiche. Severino Galante, dei Comunisti italiani, sostiene che la Chiesa cattolica si mostra nemica dei «principi e valori della rivoluzione dei lumi» e, tanto per essere conciliante, cita il moto di Voltaire, «escrasez linfame», «schiacciate linfame», con il quale si invitava a lottare contro la religione considerata una forma di ignoranza e intolleranza.
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