Giovanni Antonucci
È raro vedere sui nostri palcoscenici le tragedie di Seneca, eppure esse hanno influenzato il grande teatro elisabettiano, da Marlowe a Shakespeare fino a Webster, e i tragici francesi del Grand Siècle. La Fedra di Racine deve molto a quella di Seneca, ma anche nel Novecento la Fedra di D'Annunzio è molto senechiana e poco euripidea. Fedra di Seneca, in scena al Teatro Quirino di Roma e poi in tournée, è esemplare della sua concezione filosofica e teatrale insieme. Il suo teatro, scritto probabilmente per essere letto e non rappresentato, nasce dallo scatenamento di una passione che sorge non come un castigo inflitto dagli dei, ma come un istinto del cuore umano. La passione di Fedra per il figliastro Ippolito è trascinante, impossibile da dominare dalla ragione e per questo conduce alla morte di Fedra e Ippolito e alla disperazione di Teseo. C'è tutta la filosofia stoica di Seneca in questo suo capolavoro, unita a quell'uso della violenza e dei suoi effetti truculenti che tanto piaceranno agli elisabettiani. La Fedra esprime una filosofia della razionalità in una forma incandescente.
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