«Un Idomeneo senza effetti speciali»

«Sobrietà», dice Luc Bondy, regista dell’opera che inaugura la Scala

Piera Anna Franini

da Milano

Spunti per far spettacolo, per esaltare le meraviglie del palcoscenico scaligero, ve ne sono. Eccome. A richiederli, nel lontano 1780, fu la stessa corte di Monaco, committente dell’Idomeneo, opera in tre atti composta da Wolfgang Amadeus Mozart su libretto di Giambattista Varesco. Tuttavia l’Idomeneo che inaugura la stagione del teatro alla Scala il prossimo 7 dicembre di meraviglie barocche o post barocche non ne vuole proprio sapere. Poche movimentazioni e scene perlopiù dipinte, su 60 metri di tulle azzurro: il colore del Mediterraneo. Il mare fa da sfondo e nutre la vicenda di Idomeneo, il re di Creta che per placare l’ira di Nettuno è chiamato a sacrificare il figlio Idamante che infine sfuggirà mostri marini e martirii, e convolerà a nozze con l’amata Ilia, con buona pace di Elettra. Moderazione anzitutto nell’Idomeneo del Sant’Ambrogio 2005 frutto di una coproduzione con l’Opéra National de Paris e il Teatro Real di Madrid. Anche la scena della tempesta verrà risolta con sobrietà, una semplice tela svolazzante e giochi di luci. O meglio, con essenzialità cartesiana, come storia e dna francesi insegnano. È quanto ci assicura Luc Bondy, regista svizzero (Zurigo, 1948) però cresciuto in Francia. Bondy firma l’allestimento che impegna Erich Wonder per le scene, Rudy Saboughi per i costumi e Dominique Bruguière per le luci. Dopo la lunga sequenza di prime scaligere siglate Riccardo Muti, sale sul podio Daniel Harding: «Un piccolo Mozart, rapido ed energico» spiega Bondy che nell’esaltare la natura del giovane direttore, «fantastico come prende sul serio il suo lavoro, ma non se stesso», mette a nudo se stesso: «Si pensa che i registi siano autoritari e che per farsi capire debbano urlare. Non credo sia necessario. Si può essere creativi e umani allo stesso tempo», ancora Bondy sempre impegnato a smitizzare e a ridurre tutto alla sostanza. E la sostanza di questo suo Idomeneo «sono le relazioni umane, anzitutto il rapporto problematico fra Idomeneo e Idamante, un rapporto tirannico e nevrotico che ci riporta a quello vissuto da Mozart». Dobbiamo dunque aspettarci una lettura psicanalitica? «Dicono che le grandi opere si prestino a interpretazioni psicanalitiche, però la psicanalisi è nata dopo...», taglia corto il regista. Il messaggio è stato recepito.
Un’opera che ha il suo clou nella scena del sacrificio, quando Idomeneo è costretto a immolare il figlio a Nettuno. Bondy bandisce scenografiche spade, movimenti di masse, corpi giunonici eccetera, «ho scelto di mettere in scena solo padre e figlio, con Idomeneo che afferra la testa del figlio, come insegna Al Qaida, fino a quando sopraggiunge Ilia. È tutto molto intimo». Fra gli effetti spettacolari volutamente mancati, quelli offerti dal mostro marino, «non lo vedremo in azione, appariranno solo i suoi resti», flaccide spoglie ricavate con una sostanza gelatinosa. La lista dei non-effetti si allarga anche alla scena con cui chiude il secondo atto, «per tradurre il senso della catastrofe, ho rivisto scene dello tsunami. Non vedrete gente che fugge, bensì, come lo tsunami ha insegnato, che si ricongiunge e cerca vicendevole riparo». Problema chiave di un regista alle prese con Idomeneo, «è tradurre il brio e la velocità mozartiani, l’azione sarà per forza di cose più lenta rispetto alla musica. Altrimenti saremmo dovuti ricorrere al cinema», ammonisce.


Come prepararsi a questo Idomeneo? Quali libri Monsieur Bondy consiglia? Nessun testo di musicologi e studiosi vari del settore. Molto più semplicemente, leggetevi le lettere che Mozart scrisse al padre... anche per capire «come gli interpreti finiscano per essere spesso più reazionari dei creatori».

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