Gli imprenditori al «collega» Silvio: basta stangate da Equitalia

Giuseppe Bonomo, artigiano di Porto Torres, si chiede perché proprio un governo liberale di centrodestra confonda la lotta all’evasione fiscale con lo strangolamento delle piccole imprese. Giovanni Mazzone da Benevento invoca la riforma fiscale promessa. Emanuele Manassero, negoziante di Livorno, confessa «di aver votato per il presidente Berlusconi perché credevo che un imprenditore capisse i problemi del piccolo privato» mentre si ritrova a passare più tempo dal commercialista che in bottega.
Il disagio del «popolo delle partite Iva» è forte. Piccoli imprenditori, commercianti, professionisti, gente abituata a lavorare, che non ha molti santi in paradiso e per farsi sentire deve urlare in gruppo mentre se parla un grande di Confindustria tutti tacciono ad ascoltare. Sono stati il nerbo dell’elettorato di Silvio Berlusconi. Un «uomo del fare», uno di loro, che se perde reagisce e nelle campagne elettorali si batte per ridurre le tasse, sostenere le imprese, liberalizzare l’economia.
Proprio loro ingrossano le file del malcontento in casa Pdl dopo la sconfitta di quello che, nonostante tutto, in molti ritengono ancora l’unico in grado di dare una scossa al Paese. Il Giornale ha ricevuto centinaia di lettere, mail, commenti on-line. È l’ora della protesta, in cui si dà sfogo a quanto si taceva prima del voto quando si serrano le file.
È il momento di fare sapere perché il centrodestra arretra. Le partite Iva non si lamentano della moralità del premier, né dei candidati, neppure delle toghe rosse, di Annozero o Famiglia cristiana. I problemi sono altri. Equitalia è una persecuzione. Tremonti viene paragonato a Visco. Le incombenze burocratiche si moltiplicano. E la riforma del sistema fiscale non si vede.
«A nome di centinaia di piccole imprese vorrei richiamare l’attenzione del presidente sul killer-Equitalia che sta facendo stragi - dice Giuseppe Bonomo -. Siamo stati terrorizzati e vessati dalla sinistra, la stragrande maggioranza ha votato il centrodestra e la beffa è che proprio il centrodestra mette all’asta le nostre case e i nostri terreni frutto di decenni di sacrifici perché ci permettiamo di contestare sanzioni che triplicano in pochi mesi».
«Non siamo evasori - protesta Antonio Grandi, meccanico lombardo -. Equitalia ci addebita piccole sanzioni spesso per errori formali, noi ci opponiamo perché anche poche migliaia di euro per noi hanno un enorme valore, oppure chiediamo dilazioni perché è un momento di difficoltà, e invece ci ritroviamo con le ganasce alle auto o i sigilli ai capannoni. Tremonti a Porta a porta nel dicembre 2005 disse che Equitalia avrebbe preteso il debito originario. Presidente Berlusconi, ci dia la buona notizia che lo tsunami Equitalia si è placato e ha ammorbidito le norme per chi paga in ritardo senza sanzioni da usura».
Il ministro Giulio Tremonti è considerato una specie di Giano bifronte. Abilissimo nel tenere in ordine i conti pubblici, da applausi se sbeffeggia le burocrazie inutili e dannose per le aziende, provvidenziale nel detassare gli utili reinvestiti. E invece renitente nel tagliare i privilegi della classe politica e vessatorio «nell’alluvione di accertamenti, richieste di documenti, avvisi bonari, cartelle di pagamento, questionari, che ci impediscono di fare il nostro lavoro in quanto siamo fissi tutti i giorni dal commercialista».
Ma ce n’è anche per l’Unione europea, che inventa ogni mese nuovi controlli e adempimenti (come le autorizzazioni per il commercio con i Paesi della «black list» o la stretta su intrastat). «Mi domando se i nostri rappresentanti in Europa si rendono conto di che cosa stanno trattando - si chiede Gianpaolo Brigati, ragioniere commercialista di Reggio Emilia -. E allora tanto vale che non siamo rappresentati, oppure che ce ne stiamo fuori dall’Europa. Il governo purtroppo si è perso per strada. L’eccesso di spesa pubblica improduttiva e il debito arretrato costringe a spingere sul lato delle tasse: ma la mucca è ormai senza latte».
Roberto Belloli, leader dei «Contadini del tessile» (è a capo della tessitura Aspesi di Busto Arsizio), combatte da anni una battaglia in difesa della manifattura in Italia. «Io non dò giudizi politici, dico però che nel nostro Paese non si è tutelata la produzione.

Bisogna seguire l’esempio della Germania, dove la Volkswagen ha chiesto un sacrificio ai dipendenti riducendo gli stipendi ma così ha potuto aumentare i posti di lavoro. Difendendo le filiere produttive, i tedeschi oggi crescono in doppia cifra. Occorre una strategia economica dinamica che favorisca il vero Made in Italy. Il resto è chiacchiera».

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