Imprevedibile e quindi scomoda. Ecco perché l’Italia dà fastidio

I rapporti con la Russia di Putin e la capacità di fare da mediatore nel mondo. Lo storico Ilari: «Berlusconi usa metodi non tradizionali e così rompe i tabù»

Un giocatore imprevedibile sullo scacchiere internazionale. E, forse, per questo scomodo. Il giorno dopo aver denunciato attacchi contro l'Italia, riflettori puntati sul Cavaliere, che però non precisa. A chi dà fastidio Silvio Berlusconi? A nessuno, ufficialmente. Eppure a tanti. Basta ripercorrere le sue mosse sullo scacchiere internazionale per trovare possibili motivi di irritazione e inimicizia. Fedele alleato degli Usa, ma amico della Russia, anche quando Putin duellava con Bush. Difensore di Israele, eppure in ottimi rapporti con Paesi scomodi come l'Iran e la Libia di Gheddafi. Legato all'Europa, ma ostile agli ambienti finanziari che esercitano una pressione decisiva sulla Ue. Attore indipendente nella partita delicatissima sui gasdotti, con un occhio a est e tanti affari a sud (ancora Libia e Algeria).
Eppure nessuno, non ancora perlomeno, riesce a indicare con precisione un mandante. Le riflessioni più audaci sulle denunce di Berlusconi e Frattini, portano la firma dello storico Virgilio Ilari, a lungo docente di Storia delle istituzioni militari e dei sistemi di sicurezza alla Cattolica. «Per la prima volta un governo ha osato denunciare in pubblico, una verità scomoda ovvero che grandi gruppi economici, multinazionali e addirittura governi possano lanciare attacchi contro Paesi sovrani seguendo metodi non convenzionali». Come peraltro avvenuto in tempi recenti.
Ilari ricorda gli attacchi speculativi contro la lira del '92 o le privatizzazioni che «furono condotte in un contesto internazionale ostile e spinte in una certa direzione». Non si tratta di sospetti, ma, ormai, di prove. Eppure nell'opinione pubblica continua a prevalere l'idea che certe manovre siano fantasiose e, soprattutto, che «la speculazione internazionale, per quanto cinica e dolorosa, sia sempre legittima». «Ma questo è diventato l'alibi per non affrontare l'argomento e per bollare come cospirazionista chiunque lo sollevi».
Ilari è molto cauto sull'ipotesi del complotto, ma trova legittimo, anzi, doveroso, aver «individuato e denunciato gli attacchi anomali contro il Paese: Berlusconi ha fatto bene a rompere il velo dell'ipocrisia e a parlarne apertamente».
Il generale Carlo Jean, autorevole esperto di strategia militare, «non esclude nulla» e ricorda che durante la Guerra Fredda movimenti in apparenza spontanei, in realtà erano teleguidati. «L'Urss sfruttò i pacifisti occidentali, gli Usa i dissidenti sovietici». Certe tecniche di condizionamento sono state utilizzate nel passato, perché non dovrebbero esserlo oggi? Nemmeno Jean sa su quali elementi si fondino i sospetti di Berlusconi e dunque, nel merito, sospende il giudizio. Di certo non esita a individuare nei media un elemento chiave delle moderne guerre di potere. «Ad esempio, la campagna di stampa contro gli Ogm fu lanciata per indebolire la Monsanto», osserva, rilevando che «chi capisce le logiche del mondo dell'informazione e le sa usare a proprio vantaggio senza esporsi ottiene un vantaggio strategico spesso decisivo».
Gli elementi cruciali sono imprevedibili e asimmetrici. Ad esempio, la vicenda Wikileaks. Il governo americano, allertato dal New York Times, che ha anteposto gli interessi nazionali alla propria indipendenza, come peraltro già avvenuto in passato, è stato costretto a difendersi preventivamente. Quelle e mail rischiano di essere molto imbarazzanti per i giudizi espressi nei confronti di Paesi amici. La lettura dei messaggi sarà comunque istruttiva, poiché dimostrerà che l'apparenza non corrisponde alla realtà ovvero che i processi decisionali e di valutazione nelle cancellerie sono più complessi di quanto si creda.
E' quel che sostiene, da tempo, il generale Fabio Mini, uno degli studiosi italiani di geopolitica più originali ed audaci. Le accuse di Berlusconi non lo convincono e lo dice chiaramente: «Non credo al complotto». Eppure la vicenda offre spunti per riflessioni collaterali e più ampie. «Governi operano seguendo schemi interpretativi ormai obsoleti. Occorre cambiare paradigma». Quello vecchio è troppo schematico. Nell'era della globalizzazione chi vuole difendere davvero gli interessi del proprio Paese deve saper «leggere i flussi, anziché limitarsi a intercettare le linee di comunicazione tradizionali». La diplomazia perde importanza, mentre contano sempre di più il petrolio, la finanza, le materie prime, gli accordi commerciali che consentono di aggirare le barriere ai confini nazionali. «Ogni Stato deve stabilire le priorità nazionali e poi promuovere i propri interessi in modo articolato. Non basta stabilire buoni rapporti con altri Paesi, occorre individuare altre tendenze». Quelle impalpabili, non dichiarate, asimmetriche.

«Mosca e Washington non hanno più bisogno della linea rossa per dialogare; spesso non devono nemmeno parlarsi, basta la comunanza di interessi», spiega Mini, secondo cui a Berlusconi, prescindendo dalla valutazione politica del suo operato, va riconosciuto di «aver capito l'importanza dei flussi». Insomma, di averci, quanto meno, provato.

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