Indianapolis, tutti colpevoli ma rimandati a settembre

Due le accuse, ma per punirli subito mancano dei dati

Benny Casadei Lucchi

I team manager volevano entrare tutti assieme davanti al Consiglio mondiale della Fia, a Parigi, luogo di grandi appuntamenti e anche di grandi punizioni per chi vive di Formula Uno. Volevano entrare tutti assieme per far valere le loro ragioni, visto che tutti assieme erano e sono coinvolti in una delle pagine più strane e imbarazzanti della storia della F1: la quasi non corsa di Indy, due settimane fa, ricordo incancellabile per i 130mila spettatori del circuito più famoso del mondo e per tutti gli appassionati del genere. Tre team in gara, Ferrari, Jordan e Minardi, tutti gli altri al box dopo il giro di riscaldamento. Colpa delle gomme Michelin, incapaci di reggere le sollecitazioni del catino dell’Indiana.
Volevano entrare assieme, sono invece transitati uno alla volta. Dieci minuti ciascuno, poco per spiegare le proprie ragioni e rispondere alle domande del Consiglio, di cui solitamente fa parte anche Jean Todt, ma che ha ovviamente preferito andarsene nel momento in cui si è passati a trattare la pratica Indy. Una volta ascoltati, all’uscita sono transitati tutti i big, da Briatore a Dennis e Williams. Poi la conferenza stampa del presidente Mosley. «Pur con delle attenuanti, i sette team sono colpevoli per non aver controllato di avere le gomme adatte al Gp di Indianapolis e sono colpevoli di aver erroneamente impedito la partenza delle vetture, pur avendo diritto di passare nella pit lane a ogni giro».
Il Consiglio mondiale li ha invece scagionati dalle altre accuse, come quella più grave di «essersi messi d'accordo tra di loro per non partire». È invece stata riconosciuta la loro volontà di cercare un modo per far prendere il via alla corsa. Messe da parte anche le accuse di non aver accettato una riduzione della velocità lungo la curva a rischio e di non aver avvisato i commissari di pista dell’intento di non partire.
Dunque colpevoli solo di due imputazioni, ma colpevoli con sentenza sospesa fino al 14 settembre, quando ci sarà un altro vertice. È stato lo stesso Mosley a spiegare l’arcano, precisando che «sarebbe stato ingiusto emettere una condanna severa oggi», perché prima bisogna «acquisire i dati relativi a tutti gli incidenti che hanno coinvolto auto gommate Michelin negli ultimi due anni. Non solo: va verificato – questo il senso delle sue parole – che inconvenienti simili non si ripetano nelle prossime gare». Di più: Mosley e la Fia tutta vogliono verificare se la Michelin manterrà fede a quanto annunciato martedì (risarciranno tutti i biglietti al pubblico di Indy e ne regaleremo 20mila per l’anno prossimo). «Certo – ha chiosato il presidente – un simile gesto sarebbe stato meglio annunciarlo due giorni dopo i fatti e non solo adesso».
La sentenza rimandata, ma soprattutto il verdetto di colpevolezza su due capi d’imputazione, ha fatto infuriare i team.

In un comunicato, le sette squadre diventate sei (la Red Bull non l’ha sottoscritto) annunciano ricorso in quanto, sostengono, «di fronte all’ammissione della Michelin riguardo l'impossibilità di fornire treni di gomme nelle condizioni di sicurezza, non avevamo altra scelta se non quella di non disputare la gara» e, precisano, «a Indy la Fia non ha mai parlato di fare il Gp transitando ogni volta per la pit lane».

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