Indro "coloniale", oasi di scrittura nel deserto eritreo

Torna il libro-diario che rivelò il suo talento di scrittore e giornalista a Bontempelli e Ojetti

Con eccellente iniziativa la Rizzoli ripubblica XX battaglione eritreo (pagg. 242, euro 19,50), il libro che rivelò Indro Montanelli e che lo segnò per sempre sia dal punto di vista umano sia dal punto di vista professionale. Il giovane spilungone che si era volontariamente arruolato per conquistare l’Impero, e che come sottotenente fu assegnato appunto al XX battaglione eritreo, divenne famoso a sua insaputa. Lo ha raccontato lui stesso a Tiziana Abate: «Nel mio vagabondare avevo scritto un taccuino di guerra che avevo inviato, a spizzichi e bocconi, a mio padre, senza neppure sapere se l’avesse ricevuto... Mio padre aveva fatto leggere quel diario a Bontempelli che dopo varie vicende, me l’aveva fatto pubblicare dalla casa editrice Panorama, e Ugo Ojetti, apprezzandone il taglio antiretorico che a quei tempi era una rarità, l’aveva recensito spingendosi ad annunciare la nascita di un Kipling italiano».
Ojetti, altezzoso mandarino dell’élite letteraria, aveva fiuto e onestà nel valutare i talenti. Poteva, con le sue segnalazioni, decretare la fortuna o la sfortuna d’uno scrittore (anche Indro avrebbe avuto, dopo di lui, lo stesso ruolo seppure esercitato con bonaria spregiudicatezza, un suo elzeviro valeva diecimila copie). Dunque Ojetti fu incantato dalle pagine di quel debuttante, e aveva ragione. Sono pagine che ancora oggi non appaiono, come tante d’altre celebrità giornalistiche del tempo, irrimediabilmente datate, enfatiche, polverose. Il racconto di Indro mantiene intatti, a tanta distanza di anni, i suoi pregi. Non indugio in citazioni, mi limito ad una: «Il Tigrai è di una bellezza senza sorriso, incurante di se stessa e insensibile all’elogio. Non si aderge e non si avvalla, nonostante le forre che lo solcano e le ambe che lo increspano: sta. Altri paesaggi di questa terra d’Africa sono mobili e vari, trasmutano di colore, si abbigliano con cangevole fantasia all’alba e al tramonto, mutano secondo la prospettiva, civettano con chi guarda. Cercano di sedurre con infingimenti da femmina. Ma il Tigrai taciturno, supino sotto un cielo di cobalto, sembra aver dimenticato per sempre e forse sempre ignorato, la chimica complicata del belletto. Né torvo né accogliente».
Il geniale ragazzo toscano maneggiava d’istinto come meglio non si sarebbe potuto le emozioni e il linguaggio. Credeva nell’avventura africana - quella voluta da Mussolini e quella sua personale - inebriato dalle vastità e dai silenzi d’un mondo per lui nuovo. Credeva che molti milioni d’italiani potessero trovarvi terre da coltivare e popolazioni da guidare, era convinto della superiorità dell’uomo bianco sugli indigeni. Dei suoi ascari ha dato descrizioni indimenticabili per affetto e rispetto, ma dall’alto del suo piedestallo di dominatore. In attesa d’avere un reparto scriveva che «quest’avventura è bella - la più bella, non ne avrò altre uguali - e quindi la desidero, la voglio lunga. Poi torneremo a portare al Duce l’Impero e riverremo quaggiù, malati di mal d’Affrica».
Le lettere che Montanelli scambiò con il padre e con la madre, e che completano il volume, sono testimonianza della sua onestà morale, del suo ingenuo entusiasmo patriottico, delle sue malinconie («la nostalgia morde») e della sua delusione per avere di fronte «un nemico che non fa che fuggire e una popolazione che non fa che applaudire. È una passeggiata, sia pure un po’ scomoda».
L’introduzione a XX battaglione eritreo è stata affidata ad Angelo Del Boca, grandissimo esperto del colonialismo italiano in Africa, da lui visto in chiave duramente negativa. È una introduzione intelligente ed agrodolce, nella quale Del Boca rievoca la pluridecennale querelle che ebbe con Indro a proposito dell’impiego dei gas nella campagna d’Etiopia. Quell’uso Del Boca lo affermava basandosi su documenti, Montanelli lo negava basandosi sulla sua esperienza personale. Per verità nel nostro primo libro a quattro mani, L’Italia littoria, era stato spiegato che dei gas s’era fatto uso lanciandone oltre una tonnellata e mezza e che Mussolini aveva dato licenza a Rodolfo Graziani di impiegarli «nel caso Vostra Eccellenza lo ritenga necessario per supreme ragioni di difesa». Queste righe erano di mio pugno e Montanelli, pur avendole lette e approvate, insistette anche successivamente nel contraddire Del Boca. Finché riconobbe lealmente d’essere in torto.
Piuttosto maliziosamente Del Boca sottolinea che l’esperienza guerriera di Montanelli si ridusse a quattro mesi. Poi si ammalò e, una volta guarito, fu destinato a un ufficio della propaganda.

Ma non ironizzerei sulla brevità della sua partecipazione alle imprese del XX battaglione eritreo. La freschezza, franchezza e bellezza delle sensazioni che Indro provò e registrò un quei mesi appare ancor oggi straordinaria. Ugo Ojetti non si era sbagliato.

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