Politica

Indulto e Afghanistan: gli scogli su cui Prodi rischia il naufragio

Sette giorni di fuoco per il Professore: pericoli anche sulla riforma Bersani

Gianni Pennacchi

da Roma

«Bixio, qui si fa l’Italia o si muore», rispose Giuseppe Garibaldi al suo luogotenente che gli consigliava di ripiegare. «Romano, qui bisogna ripiegare se non vuoi morire», consiglia ora Franco Marini al suo premier. «Muori» però, non «muoriamo». Poiché se dovesse cadere il governo su un voto di fiducia bucato per un soffio non è detto che non se ne possa fare un altro, semmai con una qualche forza strappata all’opposizione. O non s’è già visto questo film nell’indimenticabile ’98, ottimo pure per il Brunello? E d’estate si sa, le repliche tirano pure in tivù.
C’è tutto questo e di più, nella sortita del presidente del Senato che ieri, da un quotidiano milanese, invita l’Unione e ancor più Romano Prodi a non far ricorso alla fiducia per far passare anche a Palazzo Madama il finanziamento della missione militare in Afghanistan: perché è vero che sinora è sempre andata bene, ma «ritenere che il miracolo possa ripetersi all’infinito significa accettare una scommessa al buio». È quanto va ripetendo ormai da giorni Massimo D’Alema, ed è ovviamente casuale che si riformi il tandem incriminato nel ’98 per la caduta di Prodi. Si potrebbe sospettare una precostituzione d’alibi, nel caso il Prof. cedesse alle richieste di Prc e Pdci e ponesse la fiducia, fallendo: oh, stavolta te l’avevamo detto e ridetto in tutte le salse; perché non ti sei preso anche i voti che Berlusconi ci offriva per il bene comune, e facevamo tutti una bella figura internazionale come a Montecitorio? Di sospetto in sospetto, si può malignare che in ogni caso a D’Alema (e pure a Marini) va bene: se Prodi mette la fiducia e cade, peggio per lui; se non la mette e le missioni militari passano per l’apporto determinante della Cdl, Prodi risulterà ancor più indebolito e ostaggio dei big di partito; se il contributo dell’opposizione risulterà un di più, Prodi resta comunque debole e D’Alema fa la figura del grande statista che favorisce le grandi intese. Pure Marini è della partita: ora si dice convinto «che l’apertura di un dialogo tra maggioranza e opposizione sia una risposta non solo giusta ma indispensabile».
S’apre dunque una settimana infuocata, la peggiore e la più rischiosa, per Prodi. Sì, perché all’Afghanistan vanno aggiunti l’indulto di Clemente Mastella e la manovrina di Pier Luigi Bersani, che se non sono così insidiosi come il Kyber pass si promettono ardui come i pendii di Calatafimi. Sul decreto che porta stangata fiscale e liberalizzazioni, il voto di fiducia è ormai certo tanto al Senato martedì quanto alla Camera venerdì, pena la decadenza vista l’ormai imminente chiusura estiva del Parlamento. Un vero record: 5 voti di fiducia in 30 giorni, e 2 di questi a Montecitorio dove pur l’Unione conta una maggioranza di tutto riposo. È vero che sulla manovrina non ci sono dissidenti e obiettori, ma conoscete il rischio che comporta ogni richiesta di fiducia: si strozza il dibattito, s’innervosiscono tutti, e quando meno te lo aspetti arriva la sorpresa.
Così per l’indulto che approda alla Camera oggi, pur se Prodi s’affanna a precisare che «non è una questione di governo ma parlamentare», se non altro perché la Costituzione, modificata così negli anni di Mani pulite, per una tal legge richiede la maggioranza dei due terzi «in ogni suo articolo e nella votazione finale». Ma Antonio Di Pietro minaccia sfracelli contro il collega Guardasigilli che sponsorizza l’indulto, il premier dice ad ambedue di parteggiar per lui, e si sa quanto sia rischioso fare il pesce in barile.
Però non c’è dubbio, il cerchio di fuoco è mercoledì al Senato. Dopo l’affondo di Marini, Prc e Pdci insistono per la fiducia, temendo allargamenti al centro e non sapendo come imporre la disciplina ai propri pacifisti: senza la fiducia «tutto va a rischio» dice Giovanni Russo Spena, è «il male minore» incalza Marco Rizzo. Dallo Sdi, Roberto Villetti va in soccorso di D’Alema e Marini: «Con la fiducia si perde credibilità».
Prodi per ora tace, ma per lui parla Arturo Parisi che prende tempo, «bisogna seguire gli avvenimenti ora per ora», dice. Se venerdì sera il presidente del Consiglio avrà completato il suo percorso di guerra conservando ancora sella, redini e cavallo, potrà guardare anch’egli rasserenato alle vacanze. Di certo sarà dimagrito, forse defedato.

E seppur soddisfatto di averla scampata a trappole e trabocchetti dei suoi leali sostenitori, dovrà prepararsi alla via crucis che riprende a settembre.

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