Cultura e Spettacoli

Ingo Schulze: "L’ex Germania Est? Un magnifico deserto"

Il grande scrittore tedesco racconta la sua patria vent’anni dopo la caduta del Muro di Berlino: "Tutto è migliorato, ora è un Paese bellissimo. Ma gli abitanti non ci sono più, sono tutti a Ovest"

Ingo Schulze: "L’ex Germania Est? Un magnifico deserto"

Quest’anno si celebra il ventesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino. Ingo Schulze che, nato a Dresda nel ’62, formato a Jena e domiciliato da un ventennio a Berlino, è la voce letteraria più nota, originale e autorevole della nuova Germania, può darci da protagonista un bilancio di questo passaggio epocale. Lo incontriamo a Firenze, in occasione del Premio Internazionale Vallombrosa Gregor von Rezzori.

Da due decenni la Germania Orientale è scomparsa. Che cosa si è creato al suo posto?
«A chi la attraversi oggi, la Germania dell’Est presenta un aspetto magnifico. Case ristrutturate, strade in ottimo stato, ambiente relativamente pulito e ben mantenuto. Nelle cittadine più piccole, però, nelle campagne più discoste dai centri urbani mancano gli abitanti. I giovani soprattutto, e soprattutto le donne, si trasferiscono a Ovest, o all’estero. Sulla mappa più recente dell’Atlante della povertà, pubblicato da pochi giorni, si può riconoscere molto chiaramente il profilo dell’Est».

Nel suo ultimo romanzo uscito l’anno scorso in Germania, Adam und Evelyn, lei rappresenta la Caduta (del Muro) come un evento originario, biblico: un capitolo cruciale della genesi della nuova Germania ma anche una svolta nella storia d’Europa. Quali nuove possibilità aprì quella svolta?
«Improvvisamente, dopo il 10 settembre 1989 ci fu una possibilità di scelta che i tedeschi orientali prima di allora non avevano mai avuto: gli ungheresi aprirono i confini e si poteva scegliere, andare o restare. Poco dopo, con la scomparsa dell’Est, questa situazione sarebbe venuta meno: non ci sarebbe più stata la possibilità di scegliere perché l’Est non c’era più».

In questa prospettiva, la ex DDR è un paradiso perduto o il paesaggio dove si consumò il peccato originale? Dov’era il paradiso? Qual era la colpa?
«La Germania Est non è mai stata un paradiso, e riguardo a dove si potesse cercarne uno le opinioni sono ancora controverse. Colpe rispetto al regime della DDR non sento di averne: non ero ancora nato quando fu instaurato. Sento però, da tedesco orientale, un senso di responsabilità, che resterà naturalmente viva per me. Inevitabile avvertire una frattura nel rapporto con il proprio passato».

La DDR è stata lo sfondo della sua giovinezza. Fu una stagione di sogni, promesse, speranze? E la Svolta, die Wende, la grossa occasione per realizzarle?
«Oh, grandi domande. Certo che nutrivo grandi speranze! C’era l’occasione di creare qualcosa di davvero nuovo: una terza via, diciamo così, tra lo pseudosocialismo e il capitalismo. Ma quella possibilità andò subito in fumo, perché sia a Est, sia a Ovest venne meno la volontà di realizzarla. Il mio problema comunque non è tanto la scomparsa dell’Est: piuttosto la scomparsa dell’Ovest. La svolta segnata nel 1989-90 offrì anche all’Occidente una grossa possibilità di cambiare radicalmente qualcosa. Invece prevalse la sensazione di essere vincitori. Certe idee alternative furono immediatamente liquidate».

Nel suo libro d’esordio del ’95 descrisse 33 momenti di felicità. Può ricordare ora qui uno solo degli istanti felici vissuti passando a Ovest?
«Un grande momento di felicità vissuto nell’89 fu per me quello in cui mi resi conto che tutto sarebbe stato diverso. E la prima esperienza felice che feci fu attraversare per la prima volta le Alpi. Il mio primo incontro con l’Ovest fu un incontro con il Sud: un paesaggio completamente nuovo».

Ripensando ai suoi progenitori - Adam e Evelyn - cacciati o fuggiti dall’Est, come si sentirono dopo la Caduta? Liberi? Perduti? Più felici? È una sensazione che cambia attraverso le generazioni?
«Quel libro in Italia uscirà a settembre. Vi si racconta di Adam, un tedesco orientale che nella DDR faceva il sarto per signore e viveva come un re, ma a Occidente si ritrova senza lavoro. Sua moglie, Evelyn, può invece finalmente studiare ciò che vuole. L’arte - la narrativa - ci permette di giustapporre l’una all’altra situazioni contraddittorie. Non è che si passi nettamente dalla dittatura alla libertà. Piuttosto si trasformano i vincoli alle dipendenze: se da una parte si è più liberi, si è incomparabilmente più vincolati alle leggi dell’economia. E da questo punto di vista ancora oggi contano le giuste protezioni politiche».

Le Vite nuove cui è intitolato il suo libro del 2007, iniziate vent’anni fa sono ormai adulte, maggiorenni. Quali i segni di maturità?
«Quanto più l’89 si allontana nel passato, tanto più si riconosce la cesura che ha segnato nella storia mondiale. E ogni nuova esperienza trasforma la visione del passato. Ancora oggi, tuttavia, c’è chi attribuisce la colpa di tutto ai comunisti, sebbene questi da vent’anni non abbiano ormai più niente da dire. Non mi pare un sintomo di maturità».

Sparita la DDR, in vent’anni com’è cambiata la Bundersrepublik, la Germania federale?
«Credo che l’Occidente negli ultimi vent’anni non sia migliorato, né si sia trasformato a proprio vantaggio. Ho l’impressione che l’esistenza del blocco orientale permettesse all’Ovest di essere più sensibile ai problemi sociali. C’era come una gara. In Germania abbiamo ora un sistema sanitario a due classi. I disoccupati che restano per più di un anno senza lavoro perdono tutto e prolungano le proprie misere condizioni di vita. I guadagni vengono privatizzati, le perdite vengono socializzate: scontate a danno della società».

Come è cambiata la vita dei profughi in Occidente?
«I miei due personaggi, Adam e Evelyn sono profughi. Oggi non potrebbero neanche sognarsi di ottenere gli aiuti che ebbero nell’89».

Dicendo di cose semplici con parole semplici - come lei predilige nelle sue Semplici storie del 2001 - che cosa è cambiato nella vita quotidiana dei nuovi tedeschi?
«Per gli orientali è cambiato tutto. Cibo, valuta, nomi delle strade, testi scolastici, l’aria che si respira, perfino il modo in cui si ama. L’amore è sempre l’amore, certo. Ma una love story vissuta nell’88 non sarà mai come quelle nate dopo l’89 o il ’90. Di questo parlo nei miei racconti. La società di prima era fondata sull’ideologia. Quella di oggi è fondata sull’economia: la quale, ovvio, è regolata ideologicamente. Per esempio, parlare di denaro è tabù. A Est tutti sapevano quanto guadagnava qualcuno. Oggi rivelare l’entità dello stipendio compromette un contratto di lavoro».

Il libero mercato e il sistema economico capitalistico hanno prodotto la grave crisi mondiale di oggi. Delusione, rimpianto per un tedesco dell’Est?
«Non è tanto questione di rimpianti. Piuttosto occorre rendersi conto di come una società che può esistere solo garantendosi la propria possibilità di crescere abbia annientato le condizioni stesse del suo sviluppo».

Lei ha scritto che «nella Germania orientale ignorare la politica era altamente politico». Oggi, politicamente, a Ovest con quale partito si schiererebbe?
«Stessa risposta: non è tanto questione di schierarsi. Il problema non è tanto scegliere tra destra o sinistra. Piuttosto: scegliere per i nostri figli e nipoti.

Vorrei impegnarmi come cittadino».

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