Diego Pistacchi
da Taranto
I testimoni non contano. Il colpevole è lui, Domenico Morrone, pescatore che non ha mai neppure preso una multa. Deve essere per forza lui ad avere ammazzato alluscita da scuola due ragazzini. Anzi no, non è lui, ma la giustizia ci mette quindici anni ad ammetterlo e cinque minuti per spiegarglielo. Gli chiede persino se può passare ancora una notte in carcere, per questioni burocratiche che non cè tempo di sbrigare. Ma lui, il pescatore al di sotto di ogni sospetto, non sente neppure più quello che dice il presidente della Corte dappello: «Sono innocente, mamma. Mi hanno detto che sono innocente», piange al telefono abbracciato ai suoi avvocati. Cinque minuti per leggere una sentenza che cancella sette processi, ma che non ridà a Domenico Morrone i suoi 27 anni del 1991. Che non gli ridà il lavoro e la fidanzata. Che lo riconsegna a quella mamma sola, anziana e povera.
La giustizia ci mette quindici anni a capire di aver tenuto in galera un innocente. Finora, fino alla deposizione di due pentiti che scagionano Morrone, pm e giudici non avevano avuto dubbi. Alle 13.50 del 30 gennaio 1991 era stato il pescatore incensurato a scaricare tutti i colpi di una calibro 22 sui fratelli Antonio e Giovanni Battista Sebastio, appena usciti dalla scuola media Grazia Deledda di Taranto. Mezzora dopo il sospettato perfetto era stato già arrestato mentre si trovava in casa. La pistola non ce laveva. Pazienza. La mamma giurava che stava riparando un acquario a casa dei vicini che confermeranno lalibi in tribunale. Niente da fare, tutti verranno condannati per falsa testimonianza. Il «mostro» aveva il movente, una discussione in strada con il più grande dei due fratelli.
Ventuno anni di carcere, la sentenza mai cambiata. Ventuno anni che stavano anche per finire. Che erano stati scontati per più dei due terzi, tanto che Morrone godeva ormai della semilibertà e poteva uscire di giorno per andare a lavorare. Il pescatore aveva anche tentato due volte di ottenere la revisione del processo, ma non cerano prove nuove. Anche i suoi testimoni avevano visto la loro condanna diventare definitiva. Finché la «parola» di due pentiti è stata creduta. Dal primo ottobre 2004 a oggi sono bastate poche udienze per riscrivere la storia di quellomicidio. La lite in strada non centrava nulla, i due ragazzini avevano scippato una donna e il fratello della vittima, il giorno dopo, si era vendicato. Ma Morrone è riuscito a riaprire il caso solo grazie a un detenuto che gli ha consigliato di contattare unassociazione di tutela dei diritti delluomo. Il suo caso è stato affidato allavvocato milanese Claudio Defilippi e alla collega Maria Riccio, del foro di Genova, che hanno iniziato la battaglia che sembrava impossibile.
Invece ieri la Corte dappello di Lecce ha riconosciuto lerrore. «Ora con il collega stiamo valutando il ricorso per ottenere un giusto indennizzo per questi quindici anni passati ingiustamente in carcere dal nostro cliente» osserva lavvocato Riccio. «Credo sia il caso più clamoroso mai verificatosi in Italia, almeno per la lunghezza dellingiusta carcerazione», aggiunge il collega Defilippi.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.