Caro Granzotto, mi inserisco nella disputa relativa al provvisorio inno che dovrebbe celebrare i fasti del provvisorio e italico coacervo repubblicano di persone su tutto disunite, salvo una parvenza di comune linguaggio basato su poche e stenografiche parole. Nei lontani anni 1936-37 ai corsi per Capocenturia presso lAccademia di Educazione fisica a Roma ci facevano cantare un patriottico inno musicato da G.Verdi. Ricordo che la musicalità dei versi aveva una compostezza maestosa e non saltellante, oserei dire circense, quale è questa del nostro attuale e provvisorio. Forse fra i tanti referendum richiesti anche quello di scegliere composizioni musicali più serie potrebbe ammorbidire le feroci dispute campanilistiche su qualsiasi argomento che assomigliano al «visto da destra» e «visto da sinistra» dellineffabile Candido.
Meglio di no, carissimo Lauro. Il referendum sullinno nazionale, intendo. Chissà cosa ne verrebbe. Il brano che cantava nel 36 è, con ogni probabilità, «Suona la tromba». Verdi lo compose nel 1848 su sollecitazione di Goffredo Mameli, autore del testo, a sua volta sollecitato da Giuseppe Mazzini. Il cigno di Busseto lo buttò giù di getto e subito lo fece pervenire al martire (martire sì, però a Londra) accompagnandolo con queste parole: «Possa questinno fra la musica del cannone essere presto cantato nelle pianure lombarde!». Pare, però, che ascoltandolo suonato al pianoforte, Mazzini storse il naso. Se avesse ragione o meno di giudicare non un granché quellinno, non saprei dirle, caro Lauro. Di musica mintendo poco e ci vorrebbe il mio amico e sommo, sommissimo musicologo Paolo Isotta. Che però, essendo lettore del Giornale, magari una letterina con il giudizio su «Suona la tromba» capace che me la manda, così sapremo. Se dunque sulle note il giudizio resta sospeso, non così per quello che riguarda il testo. E qui son dolori. Sarà anche un fiore del bouquet risorgimentale, Goffredo Mameli, ma non lo sopporto. Non sopporto la sua turgida retorica, lenfasi stentorea, lampollosa magniloquenza che dispensava non a piene mani, ma proprio a palate.
Ritengo che a voi, caro Lauro, facessero cantare il refrain di «Suona la tromba», quello che fa: «Né deporrem la spada, / né deporrem la spada / finché sia schiavo un angolo / dellItala contrada / finché non sia lItalia / una dallAlpi al mar». Un po démodé, anche negli anni Trenta, con lItala contrada da un bel pezzo una dallAlpi a mar, però niente da dire. Qualcosa, invece, sullattacco: «Suona la tromba: ondeggiano / le insegne gialle e nere. / Fuoco! perdio, sui barbari, / sulle vendute schiere. / Già ferve la battaglia / al Dio dei forti, osanna! / le baionette in canna / è giunta lora di pugnar!». E ovvio che lUnità dItalia si realizzò con le baionette in canna e non certo con le dottrine pacifiste del dialogo e del confronto, però, sarà che aveva ventanni e a ventanni ti prudono le mani, ma sembrerebbe proprio che Mameli avesse il coltello tra i denti mentre scriveva linno. Ecchediamine. Più avanti sostiene: «Se mille forti muoiono, / dite, che è ciò? Che importa / se a mille a mille cadono / trafitti i suoi campioni? / Siam ventisei milioni!».
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