Roma - Di posti ne son rimasti pochi, i pretendenti sono molti e la rissa è assicurata.
Ieri, in pieno Transatlantico, l’alleato Di Pietro inveiva contro il leader del Pd: «Veltroni ogni giorno prende decisioni da solo senza consultarci, come se noi non ci fossimo, ben sapendo che lui da solo non va da nessuna parte visto che non raggiunge neanche il 50%».
L’ira di Tonino ha un nome e cognome: presidenza della Commissione di vigilanza sulla Rai. Di Pietro, rimasto a bocca asciutta nella partita delle vicepresidenze della Camera, vuole quella poltrona per il suo partito. Veltroni lo ha blandito e rassicurato, e mercoledì sera l’ex Pm era sicuro che l’accordo fosse fatto. Poi ha subodorato la trappola: lui faceva il nome di Leoluca Orlando, Veltroni quello di Beppe Giulietti. Il quale è sì eletto con Italia dei Valori, ma come ha fatto presente Di Pietro ai dirigenti del Pd nella sua sfuriata, «alla fine è un Ds infilato nelle mie liste perché voi non potevate ricandidarlo». E comunque lo stesso Giulietti si tirava fuori: «Io non mi presto a operazioni contro Idv», spiegava.
Già, perché come hanno fatto presente i vertici Pd a Di Pietro, che è andato su tutte le furie, c’è un ulteriore problemino: il presidente della Vigilanza è per prassi un uomo dell’opposizione, ma deve avere i voti della maggioranza per essere eletto. Ed è difficile che il Pdl faccia il favore a quell’«orrore» di Di Pietro, come dice Berlusconi. Alla Vigilanza, postazione chiave perché eleggerà sette consiglieri del nuovo Cda Rai, il Pd vorrebbe in realtà l’ex ministro Gentiloni. Ma c’è l’ostacolo correntizio: Rutelli è in pista per la Commissione di controllo sui servizi, e Gentiloni è rutelliano. C’è anche l’ipotesi Follini, che ieri ha attaccato Idv: «Superiamo l’equivoco dell’alleanza con Di Pietro, e prendiamo atto che le strade si sono separate».
Italia dei Valori, dicono al loft, potrebbe consolarsi con la presidenza di qualche Giunta (elezioni o autorizzazioni a procedere), ma a Tonino il contentino non piace. E attacca su tutti i fronti: «Veltroni superi il buonismo di facciata e faccia opposizione vera, altrimenti del suo governo ombra resta solo l’ombra». Ipotesi peraltro non esclusa: Veltroni promette che sabato ne annuncerà la composizione, ma convincere big ed ex ministri a farne parte si sta rivelando impresa improba. D’Alema, Parisi, Lanzillotta hanno detto no. Bersani si è irritato a leggere sui giornali che ci stava riflettendo: «Ma se non me l’hanno neanche chiesto!». Non ci entrerà neanche lui, perché non cerca «posti né contentini».
A meno che il governo ombra non coincida con la cabina di regia effettiva del partito.
L’unico big disponibile ad assumere il ruolo «ombra» di ministro degli Esteri, per ora, è Piero Fassino. «Va a finire che ci metteremo più noi a fare il governo finto che Berlusconi quello vero», chiosano ironici in casa Ds.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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