E adesso dove andranno gli intellettuali del Cav? Si chiedeva l’altro giorno il supplemento culturale del Fatto, Saturno, dedicando un’inchiesta ai «Berluscolti». Lasciate che io rifiuti in modo secco la domanda: non esistono intellettuali berlusconiani. Ci sono stati intellettuali che hanno preferito Berlusconi ai suoi rivali e ai suoi alleati, ci sono stati perfino intellettuali eletti nelle liste del partito di Berlusconi, ma non ci sono intellettuali berlusconiani, e questa è stata dannazione e merito di Berlusconi. A parte sparuti tentativi, nessun intellettuale può dirsi organico al berlusconismo, espressione di una «cultura» o un’ideologia berlusconiana. È esistita una cultura liberale, una cultura cattolica moderata, una cultura fascista, una cultura conservatrice o di destra. Ma non esiste una cultura berlusconiana. In politica il berlusconismo è stata una risposta pragmatica a domande immediate e bisogni reali. Poi ciascuno dirà se adeguata o inadeguata, vera o apparente, ma la cultura non c’entra; al più si può dire che l’antideologia berlusconiana può aver avuto a suo modo tratti ideologici o perfino iperideologici, come l’antipolitica ha innegabili tratti iperpolitici. Ma un rapporto tra cultura e berlusconismo non c’è stato. E questo da un verso può leggersi come un coerente pragmatismo liberale che non vuole irregimentare la cultura e allineare intellettuali organici. E dall’altro va letto come un’indifferenza alla cultura, a volte un disprezzo, non solo nella convinzione che cultura voglia dire sinistra, ma anche nella persuasione dell’irrilevanza politica, elettorale e commerciale, della cultura.
Se faccio la storia del berlusconismo dalle sue origini trovo un manipolo di intellettuali «liberali» e quasi tutti ex comunisti che hanno aderito a Forza Italia per fiducia verso il leader Berlusconi e in polemica con il mondo di provenienza, il comunismo, la sinistra e le sue rovinose utopie. Dico Licio Colletti, Saverio Vertone, Piero Melograni, Giorgio Rebuffa, Giuliano Urbani, Vittorio Mathieu e altri. Molti di loro, diventando parlamentari di Forza Italia, non elaborarono culturalmente la loro scelta politica, ma l’abbracciarono per motivazioni politiche, pratiche e anti-ideologiche, più un generico liberalismo. Le loro opere più significative erano già alle loro spalle, per taluni la parabola intellettuale era già compiuta, il laticlavio politico era solo un coronamento, se non un dignitoso pensionamento. Chi ha tentato di rielaborare il berlusconismo sono stati soprattutto coloro i quali hanno cercato di dare un’identità popolare, liberale e cristiana a Forza Italia: dico su piani diversi, Gianni Baget Bozzo, Marcello Pera e Giuliano Ferrara, più altri di minor peso politico. Ma si è trattato non di intellettuali organici al berlusconismo ma al contrario di tentativi di orientare il berlusconismo, dare spessore culturale e direzione strategica a un leader e a un fenomeno che ne sono rimasti refrattari. E questo vale a maggior ragione per chi è stato considerato “vicino” al berlusconismo e che l’inchiesta di Saturno identifica in personalità assai diverse come Giordano Bruno Guerri, Dario Antiseri, Vittorio Sgarbi e Pietrangelo Buttafuoco. Naturalmente il discorso vale ancor più per chi, come me, si considerava e si considera nel residuo significato del tutto impolitico che resta, “di destra”. Per me Berlusconi è stato la gigantografia dell’italiano medio, la risposta della realtà al fumo ideologico, il populismo contro le oligarchie economiche, intellettuali e i relativi potentati. Non mi aspettavo da Berlusconi la tutela e la promozione della cultura della destra e nemmeno della cultura in generale; avrei dovuto aspettarmela semmai, se non conoscessi la loro caratura, da chi rappresentava nel polo berlusconiano la destra. Berlusconi vinceva sul terreno elettorale, ha avuto consenso popolare, ha saputo commercializzare i prodotti della politica, ha saputo sedurre. Spettava alla destra il compito di dare spessore, senso dello stato e dell’italianità, ricondurre quelle vittorie a un’effettiva mutazione culturale, una riforma se non una rivoluzione civile, che invece non c’è stata. Ma nessuno poteva ragionevolmente riporre quelle aspettative su Berlusconi e il berlusconismo. Gli aspetti inaccettabili del berlusconismo furono in parte giustificati da chi proveniva da destra come male minore rispetto al Nulla ideologico livoroso dell’antiberlusconismo e dell’antifascismo di maniera. E come effetto più che causa di un più antico e radicale nichilismo, che passava anche dall'egemonia della tv. Infine il berlusconismo è stato accettato come puro segno di vitalismo rispetto al mortifero processo di dissoluzione in atto nel nostro paese. Se Berlusconi ha rappresentato nel bene e nel male l’autobiografia della nazione, a lui gli si opponeva da sinistra l’autopsia della nazione.
Se vogliamo, i veri messaggeri del berlusconismo non sono stati intellettuali ma personaggi e programmi televisivi; ma si è trattato di un fenomeno di massa e non propriamente culturale. Un’incidenza significativa ha avuto il giornalismo filo-berlusconiano. Ma è stata emanazione del berlusconismo o al contrario ha assemblato sensibilità diverse in una crociata di cui Berlusconi era «utilizzatore finale» ma non ispiratore reale? Naturalmente non parlo dei servi e dei cortigiani, ma di giornalisti che brillano di luce propria.
Per questo mi sembra insensato applicare ora agli intellettuali di centro-destra l’alternativa tra irriducibili e voltagabbana. Ma insensato è pure lamentarsi che il berlusconismo non li abbia valorizzati.
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