Intercettazioni, è frenata Fini e Schifani ai ferri corti

RomaSulle intercettazioni è scontro istituzionale, col presidente della Camera Fini che esprime i suoi «forti dubbi» sul testo appena approdato in aula nell’altro ramo del Parlamento; il presidente del Senato Schifani che respinge l’invasione di campo sottolineando che lui non si è mai «occupato di dare valutazioni politiche o di merito» sui provvedimenti abdicando al proprio «ruolo di terzietà». Fini controreplica: «Schifani non finga di non sapere che prima di presiedere la Camera ho contribuito a fondare il Pdl. E non ho intenzione di desistere dallo svolgere un ruolo politico».
Un durissimo botta e risposta in una giornata che prometteva invece di chiudersi con una tregua sul fronte intercettazioni. Quando è arrivato l’anatema del presidente della Camera contro la legge, la frenata sul provvedimento era infatti già stata sostanzialmente decisa dalla maggioranza.
«Il presidente del Senato Schifani ci ha fatto sapere, tramite il suo vice Vannino Chiti, che accoglierà la nostra richiesta di rinviare il testo in commissione», confidava l’esponente del Pd Enzo Bianco, mentre il dibattito era alle prime battute e Fini non aveva ancora parlato. Un gentlemen’s agreement tra Pdl e opposizione, insomma, era già stato raggiunto, per rallentare l’iter di un provvedimento così contrastato. Tant’è che la presidente dei senatori Pd, Anna Finocchiaro, ieri mattina aveva già molto diluito le minacce di barricate e di «occupazione dell’aula» ed aveva spiegato all’assemblea del gruppo che era meglio «non chiudere a priori i possibili spazi di confronto». Infatti in serata Schifani ha risposto positivamente alla richiesta ufficiale del Pd, che in aula aveva proposto il rinvio in commissione per riesaminare un testo «massacrato dagli emendamenti della maggioranza» e per verificare le possibilità di «dialogo».
«In un momento così complicato, con la manovra economica che va incardinata - spiegava un esponente Pdl - non possiamo permetterci di tenere aperto un fronte così dirompente, che ha compattato contro di noi non solo opposizione e Popolo viola ma anche tutti i giornali». Meglio dunque una «pausa di riflessione», un ripiegamento dalla prima linea di combattimento e una discussione più ovattata nel chiuso della commissione giustizia di Palazzo Madama. Dove la maggioranza conta di sottoporre il testo a nuove limature per renderlo meno indigesto e per «cercare di risolvere tutti i problemi in questa lettura», come spiega il vicecapogruppo Pdl Gaetano Quagliariello. Insomma, per evitare di rispedire alla Camera un testo che spacchi la maggioranza, visto che lo stesso Fini ieri ha ribadito la promessa di riaprire i giochi a Montecitorio: «Ho forti dubbi sul testo», che contiene norme «in contrasto col principio di ragionevolezza». E siccome «ci sono questioni che non sono state valutate bene, soprattutto dalla maggioranza», se «i deputati lo riterranno necessario si potrà intervenire». Il tutto condito dal preannuncio che oggi Fini riunirà i suoi fedelissimi a Montecitorio per «fare il punto» su possibili modifiche.
«Fini è d’accordo con me», si congratula la Finocchiaro. Ma dai piani alti di Palazzo Madama la presidenza del Senato fa filtrare la propria «fortissima irritazione» per «l’entrata a gamba tesa» di Fini proprio mentre era in corso, da parte di Schifani, «una difficile mediazione con l’opposizione» per arrivare all’accordo sul rinvio, come poi è successo. Anche ad Arcore, da dove Berlusconi ha seguito la vicenda, pare non sia stata apprezzata la «tempistica» dell’esternazione finiana e di un nuovo distinguo tutto politico. Tanto che per il 2 giugno il premier ha convocato i big del Pdl, capigruppo e coordinatori, per fare il punto sulla situazione interna al partito. E c’è chi non esclude che la «coabitazione» con l’anima finiana possa tornare in discussione.

Intanto l’irritazione per quello che qualcuno nel Pdl definisce «la voglia di protagonismo di Fini» si riflette nelle parole di molti, dal ministro Bondi che si chiede se sia «utile e ragionevole» che Fini intervenga sul lavoro del Senato, a Quagliariello che chiede al presidente della Camera di «mettere fine al suo conflitto di interessi: presiede un’assemblea ed è leader di una minoranza».

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