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Per 62 magistrati di Milano il "caso Bruti" non esiste

Un folto gruppo di pm smentisce le frizioni in Procura denunciate da Robledo al Csm. "Il nostro ufficio dilaniato? Solo sui giornali, basta con chi vuole delegittimarci"

Edmondo Bruti Liberati, procuratore capo di Milano
Edmondo Bruti Liberati, procuratore capo di Milano

Milano - Adesso la colpa è dei giornali. Pare di leggere la nota redatta da qualche segreterie di partito e invece siamo dentro il palazzo di giustizia più blasonato d'Italia. Anche i pm di Milano non trovano di meglio che buttare la croce addosso alla stampa che da giorni racconta la violentissima contesa in atto fra il capo dell'ufficio Edmondo Bruti Liberati e il suo aggiunto Alfredo Robledo. Una guerra senza esclusione di colpi, con documenti, controdocumenti e audizioni al Csm, in un carosello senza fine di reciproche smentite che lasciano basiti. Non importa. Una sessantina di pm pensano bene di stilare un documento che sarebbe andato bene ai tempi della vecchia Dc. Senza prendere posizione per un partito o per l'altro, i magistrati mettono in fila due concetti: dicono no ad ogni tentativo di delegittimazione, affermano poi che tutte queste divisioni sono in realtà il frutto esasperato di una campagna di stampa che distorce la realtà e strumentalizza anche i dettagli più minuti. Proprio così. «Respingiamo ogni tentativo di delegittimazione complessiva dell'operato della nostra procura - affermano i 62 pm che poi proseguono rimandando la palla alla stampa - e non possiamo non intervenire in ordine alla rappresentazione mediatica non corrispondente al vero che viene offerta alla pubblica opinione con l'immagine di una procura dilaniata da contrapposizioni interne». Insomma, se i giornali non si sono inventati tutta questa storia, poco ci manca.

E non importa se lo scontro abbia raggiunto punte inimmaginabili e si sia scoperto, nell'imbarazzo generale, che i vertici della procura più titolata d'Italia in questi anni hanno litigato furiosamente su tutto. Sull'iscrivere o meno Roberto Formigoni nel registro degli indagati; sui reati da contestare per gli appalti dell'Expo, con addirittura la surreale vicenda di un doppio pedinamento condotto o forse no, non si capisce bene, dai due spezzoni antagonisti della procura; e ancora sulla conduzione dell'indagine relativa a Ruby, ambita da Robledo ma poi assegnata all'antimafia di Ilda Boccassini. Uno scenario di macerie che solo un anno fa sarebbe stato liquidato come fantascienza. Ma questa mischia, che mette in crisi anche i fragili equilibri fra la correnti al Csm, rischia di far pagare alla magistratura un prezzo altissimo. E così qualcuno corre ai ripari. Ecco dunque il documento partorito da una delle toghe più autorevoli, Armando Spataro, magistrato dal curriculum chilometri che proprio ieri ha ricevuto la nomina a procuratore della repubblica di Torino, al posto di Giancarlo Caselli, ornai in pensione da alcuni mesi.

Spataro ha ottenuto 16 voti, 8 sono andati all'altro candidato, il procuratore di Novara Francesco Enrico Saluzzo, sostenuto dai togati di Magistratura indipendente e dai laici del centrodestra. Insomma, ancora una volta il Csm si è spaccato secondo una frattura in qualche modo riconducibile alle logiche della politica. E oggi lo scontro Bruti-Robledo vive al Csm un'altra puntata: la Settima commissione ascolterà il procuratore aggiunto Alberto Nobili. Oggetto della sua convocazione: chiarire il presunto «peccato originale», insomma le mosse dei diversi pm che si sono contesi il fascicolo Ruby, dunque un'indagine esplosiva sul Cavaliere.


Ancora una volta, gli ingranaggi di quella macchina perfetta che era la procura di Milano mostrano un'altra realtà: dietro il velo dell'obbligatorietà dell'azione penale e di regole ferree esistevano ed esistono ampi margini di discrezionalità. Una terra di nessuno in cui si scontrano vecchie ideologie e ambizioni personali.

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