Gli 80 euro in più al mese? Non li paghino i pensionati

Il governo a caccia di soldi per mantenere la promessa elettorale del taglio dell'Irpef. Ma è una truffa: intanto stanga vitalizi e stipendi pubblici a 25 milioni di italiani

Gli 80 euro in più al mese? Non li paghino i pensionati

Più passa il tempo e più la bolla delle slide, delle promesse, delle dichiarazioni roboanti, del mantra degli impegni annunciati dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, tende a sgonfiarsi. E la luna di miele finirà anche prima del previsto. Tanto rapida è stata l'ascesa della meteora Renzi, quanto rapida sarà la caduta.

Dalla fatidica conferenza stampa del 12 marzo, son passate quasi 3 settimane e nessun passo avanti concreto è stato fatto rispetto a quanto proclamato urbi et orbi su riforme istituzionali, pubblica amministrazione, fisco e via dicendo. Per non parlare della legge elettorale, il cui iter nel libro dei sogni di Renzi doveva concludersi entro febbraio, poi diventato marzo, e che invece è impantanata al Senato. Tra tutte le misure presentate da Renzi all'inizio di marzo, quella che preoccupa di più è il taglio dell'Irpef. Per mantenere questa promessa, servono 837 milioni di euro al mese. E servono da subito. Da maggio. Altrimenti si creerà un buco mensile di pari importo nella casse dello Stato.

Da quel che si sente (e non c'è nulla di ufficiale), da una parte siamo nelle mani del commissario alla Spending review, Carlo Cottarelli, le cui proposte sono state però già bocciate dallo stesso presidente del Consiglio e «criticate» dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. O dipendiamo da pochi spiccioli che arriveranno dall'aumento della tassazione del risparmio degli italiani (sulla cui quantificazione lo stesso Pd è spaccato), dal rientro dei capitali dall'estero (come e quando?), dal maggior gettito Iva derivante dal pagamento dei debiti della Pa, e dal minor servizio del debito pubblico (già scontato nelle previsioni della Commissione europea). Dall'altra siamo appesi al filo di 2 decimali di deficit in più, dall'attuale -2,6% a un «auspicato» -2,8%, pari a 3,2 miliardi di euro, che, però, stando sempre ai rumors, dovranno servire per il pagamento della parte in conto capitale dei debiti della Pa. E non si sa neanche se saranno sufficienti. Né si sa se questo margine ci sia davvero.

Abbiamo chiesto al presidente Renzi di riferire in Aula alla Camera sullo stato dei conti pubblici italiani, ma l'argomento non è stato neanche lontanamente sfiorato dalla sua relazione in Parlamento. Per questo i conti ci siamo messi a farli noi. Partendo dalle previsioni della Commissione europea (European Economic Forecast - Winter 2014), che, rispetto al quadro complessivo recato dalla Nota di aggiornamento del Def 2013 (sia pur del precedente esecutivo, è l'ultimo atto ufficiale disponibile), riportano una differenza di 0,4 punti percentuali in termini di crescita (tra il +1% previsto dal governo rispetto al + 0,6% previsto dalla Commissione), e le cui conseguenze sul deficit possono essere calcolate in 0,2 punti di Pil.
Inoltre, la Commissione prevede, al tempo stesso, minori uscite complessive (-0,2% del Pil) e minori entrate (-0,3% del Pil) il cui saldo determina un aumento del deficit, rispetto alle previsioni, di circa 0,1 punti di Pil. A ciò si aggiunge che il quadro programmatico di finanza pubblica, che è stato alla base dell'impostazione della legge di Stabilità, indicava per il 2014 un aumento del deficit, originariamente previsto dal Def 2013 a -2,3%, di 0,2 punti percentuali, fino a -2,5%, probabilmente per spese afferenti provvedimenti del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti confluiti nella legge di Stabilità.

Queste proiezioni riducono, fino ad annullare, qualsiasi ulteriore margine di intervento per le misure presentate da Renzi. La domanda, quindi, da ormai 3 settimane è sempre la stessa: dove sono le risorse necessarie per finanziarle?

Rinviare tutto al Def è solo comprare un po' di tempo in più. Le maggiori spese annunciate, che, come sappiamo, non riguardano solo l'Irpef, ma anche il taglio dell'Irap, gli interventi sull'edilizia scolastica, la tutela del territorio, la riduzione del costo dell'energia, il credito d'imposta per i giovani ricercatori e il finanziamento al Fondo per le imprese sociali, tutte queste spese devono essere coperte rispettando da un lato certamente gli importi, ma dall'altro anche e soprattutto le relative scadenze.

È la legge di contabilità e finanza pubblica quella che definisce le regole e le procedure per la formazione del bilancio dello Stato, che lo impone. Prevede che «la copertura finanziaria delle leggi che comportino nuovi o maggiori oneri, ovvero minori entrate, è determinata esclusivamente attraverso le seguenti modalità: mediante utilizzo degli accantonamenti iscritti nei fondi speciali; mediante riduzione di precedenti autorizzazioni legislative di spesa (tagli); mediante modificazioni legislative che comportino nuove o maggiori entrate (tasse)». A quali delle tre modalità previste dalla legge farà ricorso Renzi? Con riferimento al taglio dell'Irpef, per esempio, l'unica possibilità che ha il presidente del Consiglio sembra essere quella di compensare il minor gettito di 837 milioni di euro al mese con minori uscite di pari importo. Quali sono? Gli stipendi dei dipendenti pubblici (che ammontano complessivamente a 162 miliardi di euro l'anno) o le pensioni (263 miliardi di euro l'anno), pubbliche e private. L'intervento sulle pensioni può avvenire sotto forma di entità dell'assegno vitalizio, che viene violentemente ridotto; oppure via perequazione, bloccando l'adeguamento degli assegni pensionistici all'inflazione. Una sorta di contributo di solidarietà, che altro non è che una tassa camuffata. Per fare ciò, il governo dovrà calibrare la percentuale di riduzione degli stipendi dei dipendenti della Pa e delle pensioni, la percentuale di blocco della rivalutazione di queste ultime o il mix tra le 3 misure. Tuttavia, se prendiamo come base le slide del commissario per la Spending review, Carlo Cottarelli, dall'insieme di queste misure nel 2014 non si arriva ad ottenere più di 2 miliardi. Non bastano.

Una truffa. O un imbroglio, che dir si voglia. Perché significa togliere a 20 milioni di pensionati (pensioni minime incluse) e a 3,5 milioni di dipendenti pubblici per dare 80 euro al mese a 10 milioni di lavoratori attivi dipendenti. Un'operazione tutta politica di redistribuzione del reddito, con effetti macroeconomici inconsistenti, se non negativi, anche ad occhio nudo (aumenta la propensione al consumo di 10 milioni di italiani, ma si riduce quella di quasi 25 milioni), e con effetti esplosivi in termini di equità sociale. Oltre ai risvolti giuridici, di non aderenza al dettato costituzionale, che una norma del genere evidentemente presenta.

Forza Renzi, fai pure. Ma ricorda che le finalità delle tue promesse hanno un sapore elettoralistico che non è sfuggito ai tecnici di Bruxelles. Questi, infatti, non hanno molto gradito la tua performance nella capitale belga. Discorsi, i tuoi, che erano, fatto inusuale, più rivolti al potenziale elettorato italiano, che non a mettere realmente in moto quel processo di riforma delle istituzioni comunitarie, che pure sarebbe indispensabile. Lo hanno dimostrato i sorrisetti acidi del Commissario europeo per gli affari economici e monetari, Olli Rehn, e del presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, nel corso della loro conferenza stampa. Poi il risentimento più discreto, attraverso le linee telefoniche, la cui eco è giunta fino al colle più alto della Capitale. Non sarà quindi facile trovare la complicità necessaria, che pure in altre occasioni si è manifestata.

Ne vedremo, pertanto, questa è la facile profezia, delle belle. Da parte nostra faremo il possibile per evitare che demagogia e maquillage contabile facciano precipitare l'Italia in un vortice inarrestabile.

Il caso della Grecia è ancora lì a insegnarci quanto sia importante la credibilità internazionale. L'intervento della Troika in quel Paese non fu tanto conseguenza dei conti in disordine, quanto il risultato dell'intervenuta falsificazione dei bilanci. Impediremo che da noi si ripeta lo stesso delitto.

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