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Falsa partenza

Nasce il Renzi I, ma sembra più un Letta II o un Napolitano III. All'economia un amante delle tasse sulla casa, al Lavoro un comunista

Falsa partenza

E la montagna partorì il solito topolino. Chi si aspettava grandi novità o rivoluzioni copernicane nel modo di intendere il governo non può che rimanere deluso dall'annuncio della squadra del Renzi uno. Non tanto per i nomi, rispettabili e alcuni nuovi, ma per il metodo. Il solito metodo. Cioè il premier imbrigliato nelle desiderate di partiti e potentati esterni (Quirinale, Banca d'Italia, centrali europee) spesso in contrasto con la sua volontà. Renzi non è riuscito a rottamare il sistema governo con la stessa efficacia con cui aveva rottamato prima il Pd e poi Letta. Tanto che il suo governo assomiglia più a un Letta due, o se volete a un Napolitano tre, che all'atteso superRenzi uno. La buona notizia è che ci siamo liberati di Saccomanni e Kyenge, la brutta notizia è che all'Economia arriva un fan della patrimoniale e al Lavoro un comunista. Non solo: sei ministri arrivano dalla precedente, disastrosa esperienza e i nuovi innesti di vero peso si limitano a tre. Il Nuovo centrodestra esce giustamente ridimensionato. Ha perso un ministro e Alfano è stato dimezzato: resta ministro dell'Interno ma non è più vicepremier, cioè è fuori dalla cabina di regia. Senza contare che la maggioranza è da ieri composta da nove tra partiti e partitini, oggi coesi e felici solo perché c'è ancora da spartirsi la grande torta dei sottosegretari. Domani chissà.
Non sarà una brutta partenza ma certo si tratta di una falsa partenza. Falsa rispetto alle attese che erano di un qualcosa che potesse dare l'idea che ci si stava liberando da quella cappa di intrighi e tranelli che aveva partorito e affossato prima Monti poi il povero Letta. Non c'è chiarezza, restano troppi non detti. Lo testimonia il valzer dei nomi che sono entrati ed usciti dalla lista dei ministri fino all'ultimo secondo. Lo prova la lunghezza dell'incontro finale tra Renzi e Napolitano, tre ore non esenti - secondo ricostruzioni attendibili - da momenti di vero scontro.
Ma forse non poteva andare diversamente. Renzi paga caro aver voluto andare a Palazzo Chigi senza aspettare una legittimazione elettorale, l'unica che poteva dargli la forza per fare di testa sua. Ora quelle che lui chiamò le «paludi di Letta» lo attendono al varco. Parte del suo partito e alleati propensi al tradimento non gli renderanno certo la vita agevole.

A partire dal primo punto del suo programma: la legge elettorale fortemente voluta da lui e Berlusconi ma vista come fumo negli occhi da Alfano (e non solo), cioè da chi sa che non uscirebbe vivo dalle urne. Questa storia è solo all'inizio. Auguri, Renzi, ne vedremo delle belle.

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