Amore e fame valgono pure per gli omosessuali

Il libro di Paola Concia dimostra che i cuori palpitano e (si scheggiano) allo stesso modo. E gli amori degli etero non valgono più degli altri

Amore e fame valgono pure per gli omosessuali

Tutti teniamo a passare per evoluti, ma quando si tratta di parlare di omosessuali, bene che vada ricorriamo a logori luoghi comuni, banalità sconce da caser­ma, frasario da bar. Nel linguaggio corrente mancano perfino le defini­zioni appropriate: frocio, culattone, busone, orecchione, finocchio ecce­tera. Un vocabolario meschino, oltre che triviale, totalmente inadeguato a un discorso non dico serio, ma alme­no sereno, per discutere di una que­stione vecchia come il mondo.

In redazione, quando l’attualità propone temi quali i Dico, i Pacs, i ma­trimoni tra persone dello stesso gene­re, non c’è giornalista che si offra vo­lontario per scriverne. La categoria, pur zeppa di gay e lesbiche, al pensie­ro di vergare un articolo sulla mate­ria, si nasconde sotto i tavoli per evita­re l’incombenza. I maschi, in partico­lare, notoriamente più sboccati delle femmine per motivi storici e cultura­li, davanti a una notizia riguardante l’omosessualità la buttano sul ridere. Le barzellette prevalgono sui ragionamenti e perfino sul­l’esigenza di capire.

Non sono migliore dei miei col­leghi e non mi tolgo dal mazzo di chi scherza su certi problemi. Pe­rò, avendo avuto (per fortuna li ho ancora) quattro figli, mi sono spesso posto la domanda: se sco­prissi che uno di loro è omo, come reagirei? Non farei salti di gioia, perché, chi più, chi me­no, siamo tutti confor­misti- prole compresa - e sogniamo per noi stessi e per i nostri eredi una vita in di­scesa, mentre quella dei gay - in questa società ­è comunque in salita, per quanto si cer­chi ipocrita­mente di ne­garlo.

Detto ciò, se un ragazzo che porta il mio cognome avesse ten­denze diverse dalle mie, non farei una piega: mi limiterei a ricordar­gli che­le persone si giudicano dal­la cintola in su ma, poiché non tut­ti la pensano così, troverà sempre qualcuno pronto a dir male di lui alle spalle o, peggio, in faccia. L’Italia non è soltanto piena di cre­tini; abbondano anche gli igno­ranti affezionati alla propria igno­ranza. Spesso la gente si rifiuta di comprendere non per cattiveria: per pigrizia. Ecco perché consi­glio la lettura del libro La vera sto­ria dei miei capelli bianchi , Mon­dadori. Ne è autrice (insieme con la giornalista Maria Teresa Mieli) una parlamentare di sinistra, Pao­la Concia, la quale racconta della sua candida esistenza di donna che ama le donne, una in partico­lare, quella che ha sposato.

Non è una biografia in senso stretto né un romanzo; è entram­be le cose. E ciò rende le 149 pagi­ne del volume molto piacevoli e toccanti, ricche di umori e pate­mi che dimostrano come le pul­sioni amorose degli omosessuali siano uguali a quelle degli etero, per cui è un esercizio gratuito sot­tolineare differenze immagina­rie: è un modo becero per discri­minare chi crediamo di conosce­re e non conosciamo.

La vera sto­ria dei miei capelli bianchi è un manuale di educazione senti­mentale utile per modificare le opinioni infondate che molti di noi si sono fatti sul problema, sen­za mai affrontarlo con cognizione di causa.

Per correggersi non servono grandi sforzi. Basta immedesi­marsi nelle situazioni, per esempio quella del pri­mo flirt tra Pao­la Concia (allora diciassettenne) con un’amica,Giulia.Tra loro suc­cede ciò che tutti abbiamo vissu­to da adolescenti. La scintilla del­l’amore scocca da un gioco di sguardi che comunicano inquie­tudine e mandano messaggi facili da decriptare: il reciproco interes­se tra due giovani, indipendente­mente dal loro sesso, che si attrag­gono e si desiderano. L’erotismo quanto conta? Non è questo il punto. Il fatto è che l’amore tra gay e tra etero ha la stessa intensi­tà e provoca gli stessi effetti. Se si accetta questo sano principio, ca­de ogni tabù: non c’è nulla di per­verso nell’abbraccio fra due don­ne o fra due uomini. Occorre ca­larsi nell’animo altrui: lo si fa in fretta. A chiunque, suppongo, sa­rà capitato di innamorarsi e di ave­re il cuore in tumulto, una voglia incontenibile di baciare, abbrac­ciare, accarezzare, stringere l’amata; e di essere tormentato dal ricordo del suo volto e del suo corpo; di avere la sensazione di non poter fare a meno di lei e di morire di passione.

Dalle mie parti usa dire: «L’amur e la famm i la sènt tucc i salam»(l’amore e la fame la sento­no tutti i salami). Giusto. Ma se l’amore è un sentimento univer­sale, comune a ogni individuo, spiegatemi perché gli omosessua­li dovrebbero esserne esclusi. So­lamente il pregiudizio può offu­scarci le idee e indurci a ritenere che due innamorati dello stesso genere non debbano aspirare a prendersi per mano, a convivere, a volersi bene, massì, anche a liti­gare e magari a detestarsi esatta­mente come facciamo noi. Ma do­po aver vinto il pregiudizio è indi­spe­nsabile compiere un passo ul­teriore: rispettare le unioni gay, smetterla di sghignazzare.

In altri termini: se i diritti umani li preten­diamo per noi, dobbiamo preten­derli anche per il nostro prossi­mo, senza indagare sui motivi per cui palpita il suo cuore. Già. I cuo­ri palpitano. E il mio non palpita più del tuo.

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