In un anno quattro colossi dell'edilizia hanno chiesto il concordato preventivo

Reggio EmiliaLa prima a crollare era stata un anno fa la Cmr, che per un secolo ha fatto da mamma a tutti: banca, agenzia di collocamento, mecenate e cimitero degli elefanti di politici di marca Pci quando ancora la cinghia di trasmissione tra coop e partitone rosso era virtuosa. Poi, via via, sono cadute sotto il peso della perdita di liquidità anche le altre. A Reggio le chiamano ancora le quattro sorelle: Cmr, Coopsette, Orion e Unieco. Il mercato immobiliare e non solo dipendeva da loro: loro regolavano l'afflusso di centinaia di imprese da Calabria e Campania, sempre loro facevano lavorare tutti gli altri, dagli artigiani alle piccole e medie imprese. Finché le vacche erano grasse c'era pane per tutti. Era il modello dell'Emilia felix da esportazione.
Da lunedì quel modello è finito, quando anche Unieco, l'ultima in ordine di tempo a chiedere in tribunale il concordato preventivo, ha ceduto di fronte all'impossibilità di ricapitalizzare con le banche. Fossero solo 4 dei tanti colossi edili che devono chiedere aiuto al tribunale per fermare i creditori e salvare il patrimonio invendibile, la notizia avrebbe un tenore diverso. Ma qui siamo nella terra del socialismo prampoliniano, nella quale le cooperative hanno esercitato un ruolo di dominus incontrastato, economico, politico ed etico. Crollate le coop, che esercitavano il monopolio, crolla tutto l'indotto. Oggi mentre si assiste alla fine di quel modello che portava soldi e benessere ai sindaci di sinistra, è un 8 settembre. Con un rischio di collasso del tessuto economico di una delle zone più ricche del Paese. Non è un caso che la Cna, vicina alla sinistra, abbia lanciato più volte l'allarme: «I concordati uccidono Pmi e piccoli artigiani». Danno infatti la possibilità alle coop di congelare i propri debiti con fornitori e subappaltatori continuando a lavorare e stralciare qualche contratto poco vantaggioso per uno a più basso costo. Dall'altra parte ci sono imprese familiari, che dalle coop devono avere anche solo 200mila euro indispensabili per pagare stipendi e mutui, che hanno già chiuso. E molte stanno per chiudere.
Al grido d'allarme della Cna, si sono uniti Confartigianato, Collegio degli edili, e altre associazioni di categoria che non hanno esitato a definire discriminatori i concordati così come sono stati licenziati dall'ultima revisione nel settembre scorso dal governo Monti: teneri con i colossi, spietati con i piccoli che stanno morendo. Il tutto mentre la sinistra resta spettatrice muta dello sfacelo.
La sola Provincia di Reggio fino a qualche anno fa aveva il Pil del Portogallo. Oggi i sindacati lamentano tagli per almeno 2.200 posti di lavoro. Un tracollo al quale il Pd, che negli anni ha incentivato la bolla edilizia nonostante i segnali d'allarme evidenti, non si oppone, mentre il suo leader Bersani, incentrata la campagna elettorale sul lavoro, ora sta cercando disperatamente di mettere in piedi un governo. A sinistra però il dibattito è caldo. Il reggiano Walter Ganapini, ricercatore e consulente di tante giunte di sinistra, tra cui quella Bassolino, lo ha denunciato dal suo blog: «I padrini politici di questa situazione ci sono, partono dall'Emilia e arrivano fino a Roma», tuona.

«Che cosa aspetta il Comune di Reggio (praticamente un monocolore Pd, ndr) ad affrontare la situazione e convocare un consiglio comunale urgente? Il sistema è crollato, ma certi dirigenti di coop e certi politici che governano città e Provincia mi sembrano l'orchestrina del Titanic».

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