Politica

Assolto il generale Mori, ko i maestrini antimafia

E adesso chiedetegli scusa. Un'altra volta. Dopo la tragicomica follia del processo palermitano al generale Mario Mori sulla mancata perquisizione al covo del capomafia Totò Riina (che l'ex capo del Ros personalmente arrestò) il carabiniere più mascariato e tartassato d'Italia dai tempi di Salvo d'Acquisto prende e porta a casa un'altra straordinaria vittoria processuale: non solo non ha favorito la latitanza di un altro storico boss, Bernardo Provenzano, ma i suoi accusatori, su tutti l'immancabile pataccaro Massimo Ciancimino, rischiano ora il processo per calunnia. Sotto i suoi celebri mustacchi bianchi, ieri Mori sorrideva stanco dopo anni di amarezze e schifezze mediatico-giudiziarie che, purtroppo per lui, continueranno ancora a sporcargli l'onore e la vecchia divisa con la greca in quel terzo carro di carnevale che è l'inchiesta sulla fantomatica «trattativa Stato-mafia» dove il nemico numero di Cosa nostra si ritrova alla sbarra in compagnia di altri eroici carabinieri, vecchi arnesi della politica, pentiti, stragisti.

E per dirla con Sciascia, quaquaraquà, del livello del già citato Ciancimino junior considerato un'icona antimafia dal desaparecido Antonio Ingroia ridotto a pietire un impiego al governatore Crocetta per lavorare come commissario di una società informatica indagata per mafia (è notizia di ieri). Chi è solito appassionarsi alle elucubrazioni dei professionisti antimafia si chiederà come ciò possa essere nuovamente accaduto. Non sa, meschino, che questo processo sarebbe dovuto abortire a inizio dibattimento (il 10 novembre 2009) allorché il carabiniere Antonio Damiano che materialmente svolse le indagini nella zona di Mezzojuso dove si pensava esserci Provenzano, confessò che il grande accusatore di Mori e del collega Obinu (un altro carabiniere, Michele Riccio, già condannato in un processo per droga) contrariamente a quanto affermato con dovizia di particolari, aveva mentito: Riccio non era stato dove aveva giurato di essere il giorno del blitz, e aveva pure falsificato la relazione come un Ciancimino qualsiasi.

E il bello è che Damiano queste cose le aveva riferite ai pm ben undici anni fa, ripetendole anche nel 2005, ma la procura - chissà perché - non aveva sentito il bisogno di aprire un fascicoletto qualsiasi. La cosa ancor più surreale, sfuggita ai detrattori incalliti di Mori, è che oltre a Riccio quel giorno a Mezzojuso non ci sarebbe stato nemmeno Provenzano.

L'ha rivelato in aula un magistrato serio come Pignatone, oggi procuratore a Roma, che raccolse i rapporti del collaboratore segreto di Riccio, Ilardo, che non gli parlò assolutamente della presenza, quel giorno, in quel luogo, all'ora del blitz, del successore di Totò Riina, bensì di altri mafiosi. E allora: un processo fondato sull'accusa a carico di due ufficiali dell'Arma di non avere consentito di catturare Provenzano a un proprio ufficiale, in un luogo e in un giorno dove né Provenzano né quell'ufficiale erano presenti, che razza di processo è? Per dirla in palermitano stretto: ma in che minchia di Paese viviamo?

Commenti