Berlusconi: "L'appoggio a Monti non è scontato"

Lungo vertice a Palazzo Grazioli: cresce l’insofferenza verso il governo Monti. Decisiva la ratifica alla Camera del fiscal compact

Berlusconi: "L'appoggio a Monti non è scontato"

Roma - Quando ad ora di cena lo stato maggiore del Pdl varca alla spicciolata il portone di Palazzo Grazioli per un lungo vertice not­turno, è già da qualche ora che Ber­lusconi inizia ad accarezzare l’idea di un drastico«cambio di re­gistro » rispetto al governo Monti. Nel pomeriggio, infatti, quel che ha colpito un Cavaliere sempre più pensieroso è la crescente insof­ferenza dei vertici del Pdl verso l’esecutivo.Non solo quella dei so­liti noti, che da ieri però sono lette­ralmente sul piede di guerra, ma anche delle cosiddette «colom­be », visto che persino uno sempre prudente come Fitto - seppure non pubblicamente - sembra non vedere altra strada se non quella di una presa di distanza netta. Fibrillazione alle stelle, dun­que. E con un clima che si va surri­scaldando di ora i­n ora se pure a Pa­lazzo Chigi arrivano i venti di guer­ra di via del Plebiscito. La bordata di Monti all’ex premier, infatti, è ancora una volta poderosa, forse più di quella della scorsa settima­na. E, ancora una volta, con succes­siva precisazione del presidente del Consiglio, nuovamente vitti­ma di un fraintendimento da parte dei giornalisti. Affondare il colpo e poi fare un passo indietro per vede­re l’effetto che fa, una strategia di cui il Cavaliere è un esperto da an­ni. Le «conseguenze umane» della crisi,dice il Professore,«dovrebbe­ro­far riflettere chi ha portato l’eco­nomia in questo stato e non chi da quello stato sta cercando di farla uscire».Traduzione:è colpa dei go­verni precedenti, non di quello in carica. Con buona pace di Berlu­sconi che pare non la prenda affat­to bene. Nel day after elettorale, con il Pdl«in cerca d’identità»e sul tavolo l’appoggio stesso al gover­no, l’uscita di Monti è più uno me­no l’equivalente di un elefante che balla la discomusic in una cristalle­ria. O, più probabilmente, un se­gnale in codice al Cav. Come a di­re: anche qui siamo pronti alla guerra. Il punto, però, resta quello di ca­pire come realizzare il cosiddetto «cambio di registro». C’è chi vor­rebbe staccare la spina e basta, ma­gari già mettendo alle strette il go­verno sulla ratifica del fiscal com­pact che secondo il Pdl ( da Brunet­ta a Crosetto, passando per Marti­no) va profondamente rivisto. E c’è chi si limita a teorizzare un «al­lontanamento » dal governo. Quel che certo al momento sono le paro­le che Berlusconi consegna ai suoi interlocutori nel pomeriggio: «È chiaro che il nostro appoggio al go­verno non è più scontato». E non solo perché secondo i primi studi dei flussi elettorali di via dell’Umil­tà avrebbe penalizzato fortemen­te il Pdl. Certo, il fatto che il 40% degli ita­liani che alle ultime politiche han­no votato per il Cavaliere avrebbe scelto l’astensione non è un detta­glio. Come il fatto che alcuni sareb­bero addirittura «straripati» nel Movimento 5 stelle, tanto che Man­tovani in Lombardia è intenziona­to a «guardare con attenzione» sia all’elettorato che ai candidati grilli­ni. Ma è un problema anche una bozza di riforma elettorale che, per come stanno le cose, rischia di essere molto penalizzante per il Pdl. Una tesi che da tempo sostie­ne Verdini. Allora meglio il «Porcel­lum » con qualche aggiustamento, sulla falsariga della proposta di mo­difica che sarà presentata oggi alla Camera da alcuni deputati del Pdl tra cui la Meloni e Crosetto. Si discute anche di questo a Pa­lazzo Grazioli. Dove ci sono Alfano (lì dal pomeriggio), Letta, Verdini, La Russa, Bondi, Cicchitto, Corsa­ro, Gasparri, Quagliariello, Ghedi­ni e Bonaiuti. Senza tralasciare gli errori fatti nella scelta dei candida­ti ( nomi e tempi). E con un occhio a un Casini anche lui in forte difficol­tà.

La confederazione dei modera­ti ipotizzata dal Cavaliere, insom­ma, ora potrebbe avere qualche chance . Perché anche il leader cen­trista deve fare i conti con il voto di protesta e con il fatto che la diaspo­ra dal Pdl a Terzo polo non c’è sta­ta.

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