Bersani non controlla più il Pd: rischio imboscate per il Colle

Il segretario cerca di compattare i democratici sulla rosa Amato-Marini-Prodi ma teme colpi di mano e franchi tiratori. Così D'Alema torna in piena corsa

Il segretario del Partito Democratico, Pier Luigi Bersani
Il segretario del Partito Democratico, Pier Luigi Bersani

Che il Pd sia nato e vissuto come partito né carne né pesce è stato scritto in tutte le salse. Ma che oggi, al passaggio più delicato e importante per la vita istituzionale del Paese, si presenti come partito senza né capo né coda è un fatto nuovo e sconcertante. Le divisioni tenute sottotraccia per tutti questi anni esplodono in maniera dirompente e rischiano ora di rendere impraticabile qualsiasi tentativo di accordo: sia sul prossimo inquilino del Quirinale, sia per un'eventuale esperienza di governo. L'assalto al quartier generale di Matteo Renzi, con la sollevazione dei maggiorenti lì asserragliati, da Marini alla Finocchiaro, non testimoniano solo la debolezza del segretario Bersani, ma espongono le imminenti votazioni per il Colle alle incursioni e ai colpi di mano di gruppi ben organizzati.

La fotografia della situazione è da commedia dell'assurdo. Bersani oggi dovrebbe incontrare il M5S, mentre è ancora in forse il colloquio con Berlusconi. La sua «rosa» dovrebbe resistere agli ultimi scossoni. Si tratta di due nomi «praticabili» anche dal centrodestra, Amato e Marini (nell'ordine di preferenza di Berlusconi), più il nome «impronunciabile» dalle parti del Pdl, ovvero quello di Prodi. Questo, si dice, nella previsione che i franchi tiratori del Pd affossino i primi due, cosa che indurrebbe Bersani a convergere nella quarta sul candidato che anche ieri Casaleggio ha definito «uomo della vecchia politica», senza però escludere del tutto che i Cinquestelle possano votarlo. Anche se la capogruppo Lombardi pare non aver capito la volontà del Guru di inserirsi nei giochi, nelle contraddizioni dei partiti «borghesi», si sarebbe detto in altri tempi. Così la Lombardi dichiara che i grillini voteranno il candidato incoronato dal Web «fino all'ultimo». Ma si sa che i capigruppo di M5S sono lì per farsi smentire, e dunque la cosa preoccupa poco o punto.

Più inquietante è che l'improvviso attivismo dei renziani viene letto da taluni come «saldatura» tra il movimento del Rottamatore e quello che a suo tempo fu il movimentismo prodiano: l'ubriacatura ulivista per la «società civile», l'insofferenza di Prodi verso tutti gli altri capi dell'allora Pds. E difatti Prodi viene accreditato come candidato più gradito alla pattuglia dei sessanta amici di Renzi in Parlamento. Massimo D'Alema, nemico storico del Professore, l'avrebbe capito prima di tutti e per questo si sarebbe precipitato col capo cosparso di cenere dal sindaco fiorentino a Palazzo Vecchio. Singolare però che l'eventuale nome di Prodi alla quarta votazione finirebbe per essere votato dai Cinquestelle come il «meno peggio del peggio», da Renzi per tornare alle urne e da Bersani per ottenere un incarico pieno. Quando si dice eterogenesi dei fini.

Si diceva di D'Alema, però. Occhio a non sottovalutarlo perché, in questo marasma, è quello che ha il fiuto più fino di tutti. Negli inciuci, direbbero i detrattori, si sa muovere come topo nel formaggio. Il suo nome ieri è tornato a correre sottotraccia, nella prospettiva che prima che si verifichi il quarto scenario, dunque alla terza votazione, il suo nome venga votato dal Pdl, dilaniando così definitivamente la fragilissima ragnatela di Bersani. Su «Baffino presidente» si concentrerebbero i voti di metà Pd, del Pdl, di Scelta civica, dei socialisti. E se l'incontro con Renzi ha significato qualcosa, potrebbe verificarsi il clamoroso «cambio di cavallo in corsa» per cui D'Alema ha trattato con Renzi. Mossa che spiazzerebbe i Cinquestelle.

Ma soprattutto Bersani e Prodi: il primo pagherebbe con il ritorno a casa il reato di «lesa maestà» (negli ultimi tempi i rapporti con l'ex mentore si sono fatti tragici), il secondo si vedrebbe ancora una volta buttato giù da D'Alema. Vendetta chiama vendetta. Più che una faida ambientata nella Locride, gli ultimi spasmi del Pd.

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