Tutto è cominciato intorno agli anni Trenta quando il governo americano decise di imporre ai suoi cittadini di non bere alcolici. Nei programmi il proibizionismo avrebbe dovuto far crollare il consumo di alcol, nella realtà contribuì ad alimentare il commercio nero. A distanza di quasi un secolo la storia si ripete, solo che adesso lo Stato non vieta: impone tasse. Imposte definite «etiche», perché etico dovrebbe essere il fine educativo, ma che spesso celano intenti economici. E che mai come adesso si stanno dimostrando un flop.
Basta pensare agli esempi più recenti per arrivare alla conclusione che far pagare di più chi beve alcolici, fuma sigarette o consuma bibite gasate non solo non migliora la salute dei cittadini, ma arricchisce le tasche dei contrabbandieri. E così chi queste tasse ha cercato di imporle in ogni modo, adesso fa marcia indietro. È il caso della Danimarca, che a distanza di un anno dall'introduzione della legge contro i cibi ipercalorici ha dovuto piegarsi alla sofferenza dei produttori. Mentre, infatti, il costo di burro e altri generi grassi lievitava di oltre il 2%, i cittadini fuggivano in Germania per acquistare gli stessi prodotti a prezzi più bassi. Mettendo a rischio non solo la propria salute, ma anche migliaia di posti di lavoro. Tanto che la legge non ha cambiato le statistiche: secondo l'Istituto nazionale di sanità il 47 per cento della popolazione danese è sovrappeso e il 13% è obeso. Numeri che non sono cambiati nell'ultimo anno. Tanto che il governo danese sta pensando di fare retromarcia anche sulla tassa applicata allo zucchero, che sarebbe dovuta partire nel 2013. Come la revisione della direttiva europea contro il fumo, che dovrebbe essere presentata il prossimo anno e portare divieti come quello di esporre le sigarette e di applicare il logo del produttore sul pacchetto. Mentre i prezzi continuano a salire, specialmente in Italia, come conseguenza dell'aumento dell'Iva. Qui la tassa "etica" rappresenta un introito importantissimo per le casse dello Stato: nel 2011 il gettito derivante da questo settore è stato pari a 14,1 miliardi di euro, di cui oltre 10,9 miliardi derivanti dalle accise e 3,1 dall'Iva. Proprio come quello garantito dalle accise sugli alcolici. Il risultato è che gli italiani comprano le sigarette all'estero - nel Belpaese l'accisa sul tabacco rappresenta più del 58% del prezzo finale - o, peggio, si rivolgono al mercato del contrabbando. Le previsioni già dicono che nel 2012 il mercato legale delle sigarette, in Italia, ha subito una flessione dell'8 per cento. E la cifra è destinata ad aumentare, mentre diminuiranno i guadagni dello Stato. Italia e Danimarca non sono certo gli unici Paesi europei a farsi abbagliare dalle tasse etiche. Anche la Francia, che mira a salvare la salute dei propri cittadini dal famigerato olio di palma, ovvero l'ingrediente principale dell'italianissima Nutella. E questa volta sul piede di guerra - per gli aumenti del 300 per cento che una tassa del genere imporrebbe - non sono solo gli imprenditori del settore, ma anche i Paesi che fondano gran parte della propria economia proprio sull'esportazione di questo olio. La Malesia su tutti. E negli Stati Uniti? Qui la battaglia è contro le bibite gasate.
L'ha dichiarata il sindaco di New York Michael Bloomberg che, con un'ordinanza che mira a contrastare l'obesità, ha vietato la vendita di bibite frizzanti in confezioni superiori al mezzo litro in tutti i luoghi pubblici ma anche nei fast food e nei ristoranti della Grande Mela. E chi sgarra dovrà pagare una multa di 300 dollari.
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