Bobo vince il braccio di ferro La Mauro espulsa dalla Lega

L’ex ministro ha dato un aut aut al Consiglio federale: "O lei o io". Poi il voto all’unanimità, ma Bossi e Reguzzoni si sono astenuti

Bobo vince il braccio di ferro  La Mauro espulsa dalla Lega

Rosi Mauro espulsa dalla Lega all’unanimità. Francesco Belsito idem. Congresso federale il 30 giugno e 1° luglio. Vittoria a mani basse per Roberto Maroni, ormai padrone del Carroccio senza esserne il padre. Così sicuro di sé, così certo di avere in pugno il partito da permettersi quasi uno schiaffo verso Umberto Bossi. Perché il consiglio federale di ieri pomeriggio ha votato l’espulsione della «Nera» in assenza del Senatùr. Al momento di alzare le mani il vecchio leader non c’era. Aveva lasciato lo stanzone della riunione.

Bossi che non vota l’espulsione della Rosi potrebbe essere interpretato come il «golpe» maroniano, un colpo di mano del nuovo uomo forte del partito. C’è anche una seconda ipotesi, più benevola: la decisione di cacciare il numero 1 del Sindacato padano e vicepresidente del Senato ormai era presa, e al Senatùr è stata risparmiata l’ennesima umiliazione di dover sacrificare, dopo il figlio Renzo, un’altra persona che negli ultimi anni gli è rimasta vicino. Anche se gli fosse stato usato questo riguardo, un pronunciamento della Lega così importante preso senza Bossi significa che ormai Maroni considera il vecchio capo superfluo, un soprammobile da spolverare ogni tanto, un simbolo pronto per il museo delle cere.

Il voto in assenza di Bossi è il sigillo sul nuovo potere egemone nel Carroccio. Anche nella fase che si sta aprendo, la Lega non rinuncia a una delle caratteristiche che hanno fatto la sua fortuna: un unico leader, un solo uomo forte. Ieri in consiglio federale Maroni ha messo sul tavolo tutta la sua fresca autorità. I lavori in via Bellerio sono stati aperti dalla discussione sulle date dei congressi.

Tema spinoso ma già avviato sui binari della soluzione: i congressi nazionali (cioè regionali, secondo il lessico federalista del Carroccio) si dovranno svolgere entro il 3 giugno. I più importanti saranno gli ultimi: Lombardia l’1 e 2 giugno, Veneto 2 e 3. Martedì sera a Bergamo Maroni aveva annunciato uno svolgimento concomitante, ma il leggero slittamento eviterà la completa sovrapposizione. Il congresso federale sarà a Milano sabato 30 giugno e domenica 1 luglio.

Poi si è votato un altro capitolo dell’«operazione pulizia». La società di revisione contabile PricewaterhouseCoopers ha avuto il mandato di verificare «le poste patrimoniali presenti nella contabilità del movimento» (così si legge nel comunicato finale) e di terminare tassativamente i controlli prima del congresso, cioè entro il 30 giugno.

Infine la questione centrale. La ghigliottina. La mannaia su Belsito si è abbattuta rapidamente, era un’espulsione annunciata e inevitabile perché finora è l’unico indagato nelle inchieste sull’uso dei soldi pubblici alla Lega. La pietra d’inciampo è stata la Rosi. «Qualunque cosa decidiate io non mi dimetto», ha tagliato corto in un discorso di autodifesa lungo e appassionato. Ma la sua sorte era già segnata, e lei stessa ha preferito farsi cacciare piuttosto che restare in un partito che la odia. Bossi per primo le ha chiesto un passo indietro, offrendole il compromesso di restare nel partito lasciando la carica di numero 2 del Senato. Si è scatenato un dibattito acceso che è andato avanti per un’ora e mezzo in un clima irreale, con la trentina di partecipanti asserragliati in una sede inaccessibile e con i telefonini spenti perché ogni parola restasse nel segreto del conclave padano. Un processo sommario a porte chiuse. Tutti hanno chiesto alla Mauro di obbedire a Bossi, dai triumviri fino a un esponente del «cerchio magico» come Federico Bricolo, capogruppo al Senato. La questione non era giudiziaria ma politica; di questo doveva prendere atto.
Alla fine Maroni ha tagliato il nodo: «O lei o lascio il triumvirato».

Lo spettro della scissione. La richiesta di dimettersi dalla vicepresidenza di Palazzo Madama è diventata ordine di espulsione. Rosi Mauro è stata invitata a uscire. Anche Bossi ha lasciato la stanza del consiglio federale per cercare di calmarla. Con lui c’erano Marco Reguzzoni e due piemontesi, Roberto Cota e Sebastiano Fogliato. In pochi momenti Maroni ha attuato il blitz e fatto votare in assenza del capo. «Inaccettabile la scelta di non obbedire a un preciso ordine impartito dal presidente e dal consiglio federale».

Non si è parlato di Renzo Bossi, che aveva già dato le dimissioni da consigliere regionale lombardo disinnescando il caso.

Per lui si è pronunciato solennemente il padre davanti allo stato maggiore leghista: «Se si accerterà davvero che qualcuno della mia famiglia ha preso dei soldi appartenenti alla Lega io farò un assegno per rimborsare l’intero importo».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica