Sochi 2014

C'è solo politica nella più inutile delle Olimpiadi

Domani iniziano i Giochi, ma si parla solo di attentati, potenti invitati e diritti gay

Vladimir Putin parla ai volontari di Sochi / 17.01.2014
Vladimir Putin parla ai volontari di Sochi / 17.01.2014

Quando non c'è lo sport resta solo la politica. Chi è il Bolt di Sochi? Chi è il Phelps di Sochi? Chi è la Pellegrini di Sochi? Domani cominciano delle Olimpiadi senza eroi, senza una grande storia che aspetta di essere raccontata, senza l'epica che trasforma un gesto sportivo in emozione collettiva. I Giochi invernali sono diversi, rispetto a quelli estivi sono come la tv in bianco e nero rispetto a quella a colori. Resta Putin. È lui la stella, positiva o negativa. È lui l'attrazione, positiva o negativa. È lui la notizia. La politica e la geopolitica sono il core business di Sochi 2014 per assenza di alternativa. L'attesa monta in maniera direttamente proporzionale all'allarme terrorismo. A Londra due anni fa c'era paura, tensione, controlli. C'erano cecchini e postazioni missilistiche sui tetti delle case. E però c'era l'aspettativa del record, la prospettiva dell'uomo e della donna simbolo.

Qui c'è la domanda sulle reazioni del mondo alla legge anti-gay. Siamo al paradosso che la politica salva l'Olimpiade riempiendo un vuoto. C'è la conta di chi ci sarà e chi no, domani all'inaugurazione. Non Obama, né Cameron, né Merkel, né Hollande. Ma sì Xi Jinping, il leader cinese che in questi mesi è stato più volte vicino a Putin in politica estera, soprattutto in Medio Oriente; sì il premier giapponese, Shinzo Abe, il quale può vantare di guidare un Paese in piena crescita economico-diplomatico-militare. Sì anche Enrico Letta che andrà a rendere omaggio al principale partner economico dell'Italia: il realismo abbatte il pregiudizio che lo stesso Letta e molti dei suoi alleati avevano nei confronti di Putin fino all'istante prima di salire a Palazzo Chigi. Ora crollano veti e barriere, perché business is business anche quando la tua azienda è uno Stato. In tutto i leader globali presenti all'inaugurazione dei Giochi dovrebbero essere 52: se così fosse saranno i più numerosi della storia delle Olimpiadi invernali, a dimostrazione di due cose: che rispetto a quelle estive parliamo di un evento di secondo piano e che però la loro valenza politica è più forte di quanto si possa immaginare.

D'altronde sia per Putin, sia per i suoi nemici interni ed esterni, questa è la principale occasione di visibilità globale. Il vuoto sportivo la alimenta, innescando un meccanismo per cui avremo quindici giorni di retroscena geopolitici e diplomatici, con la speranza che non accada nulla che li trasformi in reportage da guerra al terrorismo. Perché la Russia è ovunque. È stata - ed è fondamentale - nella mala gestione del caos siriano. È centrale nella crisi dell'Ucraina. È protagonista di una nuova battaglia ideologico-culturale con gli Stati Uniti che ha avuto il suo picco mediatico-propagandistico nella vicenda di Edward Snowden. È al centro del dibattito sui diritti civili proprio per la storia della legge contro gli omosessuali.

Ieri il Washington Post ha accusato Putin di non aver imparato nulla dall'esperienza delle Olimpiadi di Mosca del 1980: l'Urss, ha ricordato il quotidiano americano, aveva invaso l'Afghanistan l'anno precedente e il fisico critico del regime Andrei Sakharov era stato inviato in esilio solo sei mesi prima dell'inizio delle gare. Nel 1980 gli Stati Uniti decisero di boicottare i Giochi, ora la loro delegazione a Sochi è priva di esponenti di alto livello dell'Amministrazione e la composizione è stata definita per esprimere disappunto delle politiche anti-gay di Mosca. Ciò che il Washington Post non ricorda, però, è che negli ultimi mesi Putin ha fatto esattamente l'opposto: sulla Siria è passato come un pacifista, ottenendo così di proteggere l'amico satrapo Assad sovrapponendo però la sua posizione a quella di Papa Francesco; ha scarcerato le Pussy Riot e graziato il magnate suo nemico Mikhail Khodorkovsky. Ovviamente entrambe le detenzioni sarebbero state difficilmente gestibili durante le Olimpiadi perché fatte in violazione dei diritti umani. Putin s'è mosso alla grande, cancellando la possibilità di essere attaccato da chi aveva difficoltà a farlo per ragioni economiche, ma si sentiva obbligato per opportunità diplomatica. I suoi critici ufficiali restano pochi e per quanto potenti e celebri siano, li può gestire. Poi può sempre rinfacciare a tutti che sei anni fa il mondo andò col cappello in mano a Pechino.

Conviene ripeterlo: a Pechino.

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