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Cancellieri resta: "Io ministro ma anche un essere umano"

Il Guardasigilli passa al contrattacco forte del sostegno di Colle e presidenza del Consiglio: "Voglio vivere in un Paese libero, non sono andata oltre i miei compiti". Martedì in Aula

Cancellieri resta: "Io ministro ma anche un essere umano"

Roma Non minimizzo. Anzi: non mi vergogno, non mi pen­to, non mi dimetto. La linea Ma­ginot della ministro Guardasi­gilli Anna Maria Cancellieri da ieri aderisce perfettamente a quella del governo e si gioca tut­ta all’attacco. Il chiarimento in Parlamento avverrà «immedia­tamente perché non devono es­serci zone d’ombra e siamo si­curi che il ministro fugherà ogni dubbio», recita la nota dira­mata da Palazzo Chigi che, do­po due giorni di silenzio ( sottoli­neati con sarcasmo da Beppe Grillo) s’è mosso autonoma­mente, bruciando sul tempo qualsiasi richiesta dei gruppi parlamentari. Dunque, già mar­tedì pomeriggio alle 16 la Can­cellieri riferirà nell’aula di Pa­lazzo Madama e, subito dopo, a Montecitorio. In entrambe le Camere, la ministra troverà ad attenderla una mozione di sfi­ducia annunciata dal Movi­mento-5 Stelle e dalle tante per­plessità sulla telefonata ai Ligre­sti, non soltanto dei gruppi d’opposizione (anche nel Pd c’è bufera, e chi preme per un rimpasto di governo). Quel che è certo, in una situazione che ri­schia comunque di mandare Letta sugli scogli,è che tramon­ta l’astro nascente della civilser­vant da molti già considerata successore designata di Napoli­tano sul Colle.

La Guardasigilli venderà ca­ra la pelle. Incassato l’appoggio che ormai sembra incondizio­nato del premier e del Quirina­le - timorosi che il cosiddetto «sassolino» si trasformi in va­langa per tutto e tutti- la Cancel­lieri si presenterà alle Camere con lo stesso piglio mostrato ie­ri al congresso del Partito radi­cale. Frutto dei colloqui telefo­nici avuti nelle scorse quaran­tott’ore con i Palazzi che conta­no. «Il governo deve andare avanti, non possiamo permet­terci dimissioni di un ministro importante come quello della Giustizia» è il ritornello che la ministra si è sentita ripetere do­po aver fornito le sue motivazio­ni, giudicate «convincenti». Molto ha contato la ferma e pub­blica presa di posizione di Gian Carlo Caselli, procuratore capo di Torino, che ha escluso qualsi­asi «pressione» per la scarcera­zione di Giulia, la figlia dell’in­gegner Ligresti che aveva smes­so di mangiare mettendo a ri­schio la propria vita. Quella con la famiglia Ligresti è un’amici­zia di «antichissima data», ha spiegato lei. «E se Giulia si fosse uccisa io non sarei stata respon­sabile della sua morte, della morte di una madre con dei bambini? Il mio intervento è sta­to esclusivamente all’interno del Dap, dicendo attenzione che Giulia Ligresti potrebbe compiere gesti inconsulti; ho la responsabilità delle carceri, non sono andata al di là dei miei compiti, lo rifarei», come ha ribadito poi davanti a Pan­nella e ai suoi riuniti a Chiancia­no. Distinguendo su queste ba­si il caso Ligresti da quello della telefonata di Berlusconi per Ru­by, perché «ogni detenuto che si suicida è una sconfitta».

Orgoglio ferito e bando ai pre­giudizi, piuttosto che una sban­dierata «serenità». Una conce­zione «diversa» della giustizia,che non prescinde da un appog­gio non formale alla questione dell’amnistia («ma il Parlamen­to è sovrano») per dare corpo a un’autodifesa che sembrava la­sciava pa­recchi margini alle ac­cuse di favoritismo. E invece, di interventi «analoghi a quello di Giulia in tre mesi ne ho fatti 110», ha sostenuto la Cancellie­ri. «Dice,ma la Ligresti è un’ami­ca... E chi se ne frega? Era un do­vere, un dovere d’ufficio». An­che se la frase- cardine della fiu­mana autoassolutoria è un’al­tra: «Voglio vivere in un paese li­bero, un paese dove un mini­stro ha tanti doveri, ma anche il diritto di essere un essere uma­no ». Umanità non aliena dalla madre che tira fuori le unghie per il figlio che lavorava dai Li­gresti, «mai entrata nella sua professione, è bravissimo, la li­quidazione che ha avuto era da contratto»,e persino per se stes­sa, «ho fatto strada solo grazie alle mie forze». Tutto umano. Troppo umano, forse. Così da convincere la ministra di non aver fatto nulla di «tanto grave da meritare le dimissioni» e di «avere la coscienza a posto: non ci sono detenuti di serie A e di serie B». Ma certo, aggiunge in un sospiro, «se dovessi esse­re un peso, se il Paese non aves­se più bisogno di me...».

Unica concessione, il sacrificio in no­me del governo di cui fa parte, che l’ex prefetto che sognava il Quirinale arriva a fare.

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