Il cancro della burocrazia che strangola i cittadini

Esce "La Repubblica dei mandarini", scritto dall'inviato del Giornale Paolo Bracalini. Viaggio fra le imprese che affogano tra leggi e cavilli

Il cancro della burocrazia che strangola i cittadini

La lettera è arrivata lunedì. L'uomo che l'ha scritta ha 40 anni. È un commerciante. Si chiama Giuseppe. Non chiede favori. Non si sente protagonista. Pensa, soltanto, che quelli come lui non hanno nessuno che li rappresenti davvero. Non ci sono romanzi su quelli come lui. Non ci sono film. Non ci sono fiction. Non ci sono canzoni. Qualcuno di loro va in tv, ma le loro storie vengono dimenticate in fretta. Giuseppe è semplicemente uno che fatica dalla mattina alla sera. E la notte pensa ai conti che non tornano. È uno troppo solo davanti alle leggi bizantine, alla burocrazia, a tutti quelli che ogni giorno vanno a bussare davanti al suo negozio con un controllo, una richiesta, con la faccia di chi ti considera un presunto colpevole. Tanto una qualche legge che ti incastra ci sarà sempre. Ogni giorno ne passa uno con un vestito diverso, una sigla, una divisa, un'arroganza diversa. La faccia è sempre quella dello Stato. La vita vista da un bancone o da una bottega può assomigliare a uno spettacolo tragicomico. Con tutti questi omini che entrano e escono di scena come replicanti, come l'esercito di cloni dell'impero burocratico. Giuseppe scrive questo: «Ho pensato molte volte di scrivere qualcosa della nostra vita ma non ho le basi culturali necessarie per farlo, e credo che tantissimi come me avrebbero tante cose da raccontare ai nostri “governanti” che ci vedono solo come evasori, vorrei che qualcuno ci desse voce in qualche modo».

Si, va fatto. E per la verità ci proviamo spesso. Intanto c'è qualcuno che ha raccontato, scavato, messo a nudo i vostri aguzzini. È Paolo Bracalini. È un collega e ha scritto La repubblica dei mandarini (Marsilio). La prefazione è di Edward Luttwak. È un viaggio nell'Italia delle burocrazia, delle tasse e delle leggi inutile. Le prime dieci parole svelano la più grande bugia di questi anni. «Lo Stato italiano siamo noi? No, lo Stato sono loro».

Paolo guarda il mostro e si mette dalla parte di chi se lo trova davanti tutti i giorni. È il pescivendolo multato perché mancava l'indicazione della specie in latino vicino al nome in italiano. È chi viene rovinato perché sua moglie lo aiuta in pizzeria e sceglie di farla finita. È Giuseppe Aloisi che in Sardegna vuole aprire un'azienda di frigobar. Sceglie il terreno, compra le macchine, assume 40 persone. Ma su quell'area industriale c'è un palo dell'energia elettrica, piantato lì chissà quando. Chiede all'Enel di spostarlo. Ma ci vogliono trenta lunghi mesi.

«Due anni e mezzo di interminabile attesa. Nel frattempo, Aloisi è fallito e gli hanno pignorato la casa». È la storia di uno che si è messo in testa di aprire una lavanderia. «Ci mette 86mila euro, 22mila per l'avviamento e il resto per le macchine. Un giorno gli arriva la lettera dell'Agenzia delle Entrate: lei ci deve circa 90mila euro, che fa, concilia? Il ragionamento del Fisco è questo: siccome per l'affitto della lavanderia paga 18mila euro all'anno, i soldi spesi per avviare il negozio devono essere - non si capisce bene in base a cosa - 18 mila euro moltiplicati per sei. Cioè 108mila. Quindi, avendo dichiarato un costo di avviamento di 22mila euro, il negoziante ha certamente evaso la differenza». Come finisce? Con cinquemila euro di multa. L'uomo si reca all'ufficio del fisco, parla con l'agente che ha in mano la sua pratica. Spiega che lavora 14 ore al giorno e ha dei figli da mantenere. Ma soprattutto dice che lui non ha dichiarato il falso, che non è un furbo né un evasore.

«Alla fine, l'ispettore prende la calcolatrice, batte i tasti, fa un'operazione e la sanzione da 5mila euro passa a 2mila». Voi direste grazie?

Qualcuno dirà che lo Stato serve. Lo Stato utile. Lo Stato ci protegge e ci rassicura. Forse un altro Stato. Non questo. Non uno Stato che ha trasformato il welfare in una fabbrica di clientele. Non lo Stato dalle cento tasse.

Non uno Stato che parla la lingua maledetta del burocratese. Non lo Stato che considera artigiani, commercianti e imprenditori un corpo indegno da scarnificare. Non uno Stato di oligarchi e servi. Non lo Stato parassita. Ed è quello che pensa anche Giuseppe.

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