Non mi ero mai occupato, se non a livello politico, del canone Rai (un tempo si chiamava abbonamento) che ammonta a 113,50 euro. Mi sono limitato a pagarlo; un anno, non ricordo quale, addirittura due volte, per errore. È diventato come il bollo dell'automobile, una tassa di possesso. Hai una vettura? Versi un obolo commisurato alla potenza del motore, e zitto. Hai un televisore di qualsiasi tipo? Idem, versi un altro obolo e via andare. Non c'è discussione. Giusto o sbagliato? Non lo so. Ma so che i servizi pubblici costano e da qualche parte i soldi per finanziarli bisogna farli saltare fuori. Ovvio, dalle nostre tasche, e così sia.
Alcuni giorni fa, tuttavia, apprendo un particolare curioso: chi non ha sborsato la somma dovuta all'ente televisivo (che non è azzardato definire statale, anche se formalmente non lo è) entro il limite massimo del 31 gennaio, ha facoltà di rimediare. Come? Semplice, sganciando oltre al canone base (113,50 euro, meglio ribadirlo), una sovrattassa di 4,40 euro. Ma deve affrettarsi a farlo prima che finisca febbraio. In caso di altro ritardo, la sovrattassa si raddoppia.
Raccontata così, la storia non scandalizza. Cosa vuoi che siano 4,40 euro in più per un mesetto? Oppure 8,80 euro per due mesetti? Effettivamente, non sono cifre sbalorditive per chi abbia un reddito decente e una memoria poco efficiente, al punto da non ricordare che le scadenze vanno rispettate rigorosamente se non si vuole incorrere in sanzioni. Fin qui spero mi abbiate seguito. Ora però, analizzando nei dettagli la questione, vediamo che si tratta di strozzinaggio della più bell'acqua.
Ripetiamo ancora. L'importo nudo e crudo richiesto da Viale Mazzini è di 113,50 euro. Se per qualche giorno di ritardo nel saldo della mia pendenza - facciamo pure 30 dì - sono costretto ad aggiungere, per punizione, altri 4,40 euro, significa che la Rai mi impone un interesse annuo sul debito, perché di debito di tratta, grosso modo del 50 per cento. Infatti, se moltiplichiamo 4,40 euro per 12, arriviamo a 52,80 euro. Una somma stratosferica se si tiene conto dell'entità dello scoperto, cioè 113,50 euro.
Se la Rai, invece di essere un'azienda pubblica, fosse una banca o una ditta privata, il titolare o il rappresentante legale filerebbe diritto in galera per usura, reato gravissimo. Conosco già l'obiezione che qualcuno azzarderà leggendo le presenti note: la sovrattassa di 4,40 euro non è l'interesse mensile su un prestito, bensì una sorta di mora, una sanzione pecuniaria. Ma stiamo scherzando? Giochiamo con le definizioni più o meno edulcorate, con gli eufemismi burocratici? Guardiamo alla sostanza. Non ci piace il termine sovrattassa? Non ci piace neppure il sostantivo interesse? Usiamo un'altra parola: va bene Giacomina?
Non cambia nulla ai fini pratici. Perché 4,40 euro a fronte del ritardo di un mese nel versamento di 113,50 euro sono un'enormità che sconfina abbondantemente nello strozzinaggio. Se io, caro lettore, ti presto poco più di 100 euro e dopo 30 giorni pretendo da te 4,40 euro d'interessi (che dopo un anno diventerebbero 52,80) sono un cravattaro, dato che esigo quasi il 50 per cento annuo del totale del credito.
La faccenda sembra più complicata di quanto non sia. Ed è per questo che nessuno ci bada, preferendo pagare e amen. Ma è la dimostrazione che lo Stato pratica sistemi criminali a danno dei cittadini, i quali invece, se devono riscuotere da esso del denaro, campa cavallo. Non solo non incassano per anni e anni.
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