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Il Cav ricompatta il Pd che si sente già in guerra

Il segretario Epifani: "Colpo alla schiena dell'Italia". Ma pensa alle manovre elettorali

Il Cav ricompatta il Pd che si sente già in guerra

Roma - Il primo miracolo avviene quando la notte è giovane e si trova l'accordo sulle regole, senza se e senza ma. All'Immacolata si vota per il leader, e votano tutti: belli e brutti (ovvero chi vuole, basta versare due euro alle desiderose casse Pd).
Il secondo si materializza a metà mattinata, in una Direzione rapida e fattiva, tanto che non sembra neppure il Pd: arringa del segretario, breve relazione sulle regole, voto all'unanimità (un astenuto: Graziano Milia). Un'ora appena per mostrarsi tonici, cioè diversi dal solito. Circostanza che dà luogo a una serie di piccoli miracoli disseminati qua e là: Franceschini va col capo cosparso di cenere da Bersani e ci resta in lunga confessione, Renzi e Cuperlo tubano di persona e per interposta persona, quindi tocca a Epifani confabulare con Matteo, pacato e persino disponibile ad accogliere l'appello di Epifani (fatto proprio da Cuperlo): «Chiunque vinca alle primarie per il leader s'impegni poi a far tenere primarie per il premier, aperte a più candidati».
Scene di un Pd che si prepara al tempo della guerra. Miracolato dai guai del Cav e dall'Aventino promesso dai berlusconiani. Epifani parla di «colpo alla schiena dell'Italia e tradimento agli italiani, il Pdl scherza con il fuoco, non se ne esce con un giro di valzer, il chiarimento serio e risolutivo davanti alle Camere è una via obbligata». La direzione resta convocata in modo «permanente» per seguire l'evoluzione della crisi, e in serata le consultazioni tra Franceschini e i ministri piddini renderà ancora più visibile la miracolosa unità che solo un nemico come Berlusconi può ottenere. Eppure già nell'appello di Epifani sulla premiership si nasconde il primo inghippo: si vuole lasciare una porta aperta a Letta perché, anche se nessuno vuole il lavacro elettorale («Impensabile», dice Cuperlo), tutti un pensiero ce lo stanno facendo. Va cambiata prima la legge elettorale, insiste Epifani. In ogni caso, non è bello dare per scontato che il premier in carica venga rispedito in panchina. Letta vuol giocarsi la sua partita, e i maggiorenti del partito l'aiuteranno a giocarsela in funzione anti-renziana.
Ma c'è anche una seconda mina, nel campo dei miracoli. D'accordo, tutti o quasi pensano che l'unico sbocco possibile sia trovare un'altra maggioranza (dissidenti Pdl, Gal e chi ci sta). Però se le elezioni a marzo sono ormai più di un miraggio, significa che il lungo inseguimento di Renzi sta per concretizzarsi. Cosa che obbligherebbe il Pd a compattarsi su di lui.
Così, neppure un'ora dopo il «volemose bene, famo er congresso e menamo il Pdl», il responsabile organizzativo Zoggia spezza l'incantesimo. «Il congresso è importante, ma se le cose precipitassero, la direzione valuterà se modificare il percorso. E comunque per il meglio». Se ci gira, insomma, il congresso slitta o salta. La minaccia mette sull'allarme renziani e cuperliani, sempre più uniti e decisi a scalzare i vecchi mamelucchi. Si sceglie di tenere bassa la polemica. Pittella, Funiciello e Faraone sottolineano che la crisi semmai è un «motivo in più per fare il congresso», il fedelissimo renziano Marcucci taglia corto: la data è l'otto e «il programma non si cambia». Accada quel che accada, Renzi non è Dorando Pietri: non cadrà a un passo dal traguardo. L'armistizio c'è, la guerra continua.

Firmato Badoglio.

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