Il Cav si tiene lontano dalla guerra Pd-M5S: due galli nel pollaio

Berlusconi snobba le schermaglie tra Renzi e Grillo. E su Alfano: indifendibile, paga la presenza in un governo spostato a sinistra

Il Cav si tiene lontano dalla guerra Pd-M5S: due galli nel pollaio

O serva il Cavaliere. E un po' incuriosito, un po' divertito resta alla finestra ad assistere al braccio di ferro tra Matteo Renzi, Beppe Grillo e Angelino Alfano. In attesa di giorni migliori, del momento giusto in cui affondare il colpo. Perché, è la convinzione di un Silvio Berlusconi sempre più deciso a giocare la campagna elettorale per le Europee di maggio in prima fila, la convivenza del centrodestra con il nuovo Pd di Renzi non è conciliabile non solo con le istanze degli elettori ma pure con il buon senso. Soprattutto dopo che i Democratici hanno votato la decadenza dal Parlamento del leader del centrodestra.
Così l'ex premier preferisce non esporsi e limitarsi ad osservare il succedersi degli eventi. E nel suo blitz a Milanello per incontrare i rossoneri alla vigilia della sfida con la Roma si guarda bene dall'entrare nel merito del problema. «È un momento difficile per il nostro Paese e per tutta l'Europa e – dice ai microfoni di Milan Channel – speriamo di avere la forza di venirne fuori come è successo altre volte». «Io ce la metto tutta per me e per il mio Paese», aggiunge senza però dire una parola sugli affondi lanciati da Renzi nel giorno della sua proclamazione a segretario del Pd. D'altra parte, non pare che Berlusconi abbia guardato con particolare interesse ad uno scontro da cui – questo avrebbe confidato ieri in privato - «non esce bene nessuno» perché «sembrano due galli nello stesso pollaio». Il Cavaliere si riferisce a Renzi e Beppe Grillo, convinto che Alfano stia già iniziando a pagare la sua presenza in un governo che è sempre più collocato a sinistra. La sua posizione, è l'idea che si sarebbe fatto Berlusconi, è «assolutamente indifendibile».
E che il vicepremier sia stretto tra Renzi ed Enrico Letta da una parte e il Pd e Grillo dall'altra è niente più che cronaca. Con un esecutivo (legittimamente) sempre più spostato verso sinistra, con buona pace del Ncd. Che secondo i sondaggi nelle mani del Cavaliere sta già pagando la coabitazione con il centrosinistra e che è destinato a pagarlo ancora di più nei prossimi mesi, con l'avvicinarsi delle elezioni Europee e l'inevitabile accendersi dei toni. Circostanza, questa, che preoccupa l'ex premier fino ad un certo punto, visto che Berlusconi è sempre più propenso a proporre una coalizione «multi-prodotto» che copra il più possibile la «domanda» dell'elettorato di centrodestra. Ed è chiaro che l'opposizione tout court sarà quella di Forza Italia. Se il Ncd drenerà un 3-4% di voti alle prossime politiche «bene», se invece – teorizza il Cavaliere in privato - resterà «schiacciato nelle sue contraddizioni allora ce ne faremo una ragione».
Non è un caso che nonostante la tregua contro Alfano continuino ad arrivare dei veri e propri missili terra-aria. Quelli del capogruppo di Forza Italia alla Camera Renato Brunetta, convinto che quella tra Renzi, Grillo e Alfano sia «una sit-comedy ambientata in un college dove tre matricole sono costrette ad abitare insieme». Renzi, aggiunge Brunetta, «cerca la crisi di governo» e «c'è solo da vedere fino a che punto Letta e Alfano sono disposti a deglutire pur di restare dove sono». Ma il più duro di tutti, come spesso capita ultimamente, è Sandro Bondi che nel giro di qualche ora affonda colpi prima su Alfano e poi su Renato Schifani. Sul primo: «Renzi, Letta e Cuperlo meritano il nostro rispetto perché hanno saputo comporre le loro differenze. Alfano e soci che hanno invece anteposto calcoli politici e personali ad una storia comune e perfino alla solidarietà morale nei confronti di un leader come Berlusconi».

Sul secondo: «Non racconti favole e si assuma la responsabilità delle sue posizioni visto che ha deciso di far restare in carica il governo anche dopo che il Pd non ha rispettato i diritti di difesa e ha fatto decadere il leader del centrodestra. Quello stesso che nominò Schifani nientemeno che presidente del Senato».

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