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La spietata ironia di chi vuole il Cav in cella

Gli anti Cav che in queste ore discutono del destino di Berlusconi con faciloneria non conoscono il valore della libertà

La spietata ironia di chi vuole il Cav in cella

Chiunque incontri fa un risolino e mi chiede incredulo: è sicuro che Silvio Berlusconi verrà privato della libertà a causa della nota condanna? La domanda, alla quale non rispondo, contiene già la risposta: non succederà nulla di simile, troveranno il modo affinché tutto finisca a tarallucci e vino. La gente ragiona così. È convinta che un personaggio potente debba sempre cavarsela, anche in caso di una sentenza definitiva che preveda la reclusione. Può darsi che abbia ragione. Ma non è detto.

Per quel che ne so, chi debba scontare una pena sia pure agli arresti domiciliari è sottoposto a un regime assai restrittivo. Deve starsene in casa, salvo un paio d'ore (quelle che in carcere vengono definite d'aria), senza mai allontanarsi dalla propria residenza. Quale casa? La scelta spetta al magistrato di sorveglianza (non al detenuto), in base a criteri che escludano il rischio di fuga. Lo stesso magistrato decide il perimetro entro il quale il detenuto possa muoversi (si fa per dire) in scioltezza. Non c'è nulla di scontato neanche in questo senso: non è detto che il giardino e le terrazze siano considerate agibili. Si tratta pur sempre di stabilire lo spazio di una prigione alternativa.

Occhio. Chi sta ai domiciliari è obbligato a sottostare a regole abbastanza ferree. Non può ricevere neppure i figli se non sono conviventi. Per farlo è necessario che ottenga un benestare. Dal solito magistrato di sorveglianza. Il quale, esercitando la propria discrezionalità, autorizza o no perfino i colloqui telefonici. Di norma al recluso è concesso di parlare con qualcuno al cellulare, ma non sempre: serve di volta in volta un permesso. In altre parole, gli arresti domiciliari non sono una forma edulcorata di carcerazione, ma una vera e propria reclusione. Non bisogna pensare che il «detenuto» abbia facoltà di intrattenere rapporti con l'esterno a piacimento. Interviste televisive, proclami radiofonici, comizi registrati e poi diffusi con qualsiasi mezzo: tutta roba da escludersi, se non in casi eccezionali, e improbabili.

Il cittadino che supponga siano concessi privilegi a personaggi eccellenti non ha capito niente: la giustizia penale non è mai molto elastica. L'affidamento ai cosiddetti servizi sociali è indubbiamente una cosa diversa. Consente margini di libertà maggiori, ma impone anche degli obblighi: svolgere un'attività benefica, simile a quella di coloro che si dedicano al volontariato; osservare degli orari e attenersi a una certa disciplina. Ciò che qualcuno, ignaro di quanto si debba patire in carcere, considera umiliante. E sbaglia. Perché peggio della galera c'è solo il cimitero.

Non auguro a nessuno di assaggiare le delizie del sistema penale nazionale, ma so che può capitare a tutti - quando meno se lo aspettano - di doverci fare i conti. Un'esperienza scioccante che, nei racconti di chi l'ha subita, non è paragonabile alla peggiore delle disavventure. Chi parla di prigione e affini a cuor leggero non sa quel che dice. E non sa quale sia il valore della libertà. Ecco perché non comprendo la faciloneria di molta gente che in queste ore discute del destino di Berlusconi come di una faccenda di ordinaria e allegra amministrazione.

D'accordo che la crudeltà umana è senza confini, ma chi la esercita con disinvoltura, magari con sadismo, farebbe bene - per cambiare atteggiamento - a immedesimarsi nei panni di coloro che la subiscono.

Insisto su questo punto nella speranza che, in mancanza di pietà, i nemici di Berlusconi scoprano almeno il rispetto delle altrui sofferenze.

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