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La condanna del Papa: offese inaccettabili all'islam

Alla vigilia del delicato viaggio del Papa in Libano (il terzo di un Pontefice dopo quello di Paolo VI nel 1964 e quello di Giovanni Paolo II nel 1993) è il portavoce vaticano padre Federico Lombardi a usare toni di massima prudenza circa le notizie provenienti da Bengasi, l'omicidio dell'ambasciatore americano e i focolai di violenze che scuotono il mondo islamico: «Il rispetto profondo per le credenze, i testi, i grandi personaggi e i simboli delle diverse religioni - ha detto Lombardi - è una premessa essenziale della convivenza pacifica dei popoli. Le conseguenze gravissime delle ingiustificate offese e provocazioni alla sensibilità dei credenti musulmani sono ancora una volta evidenti in questi giorni, per le reazioni che suscitano, anche con risultati tragici, che a loro volta approfondiscono tensione ed odio, scatenando una violenza del tutto inaccettabile».
In Vaticano nessuno teme per il viaggio. La sicurezza del Pontefice in terra libanese non è mai stata ritenuta un problema e non lo è nemmeno dopo le notizie libiche. Del resto, l'obiettivo del viaggio è portare la pace in un Paese che, unica eccezione nel panorama mediorientale, ha una presenza cristiana nelle file del governo. E, insieme, confermare la presenza della chiesa cattolica nel Paese come nei paesi limitrofi, che significa in sostanza chiedere ai cristiani di resistere. Lo «spettro», infatti, non tanto in Libano ma nei vicini territori, è la diaspora. Che in Siria e in altri Paesi caldi, insomma, i cristiani siano costretti a fuggire come è di fatto avvenuto in Iraq prima e soprattutto dopo la caduta del regime di Saddam Hussein.
Il Papa consegnerà alle comunità locale l'esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente. È in sostanza il testo che riassume il Sinodo dei vescovi svoltosi un anno fa a Roma e dedicato proprio alla presenza cristiana nella regione. Il testo enuclea la necessità della permanenza dei cristiani sul territorio, la loro spinta per la pace, per essere ponte tra culture e religioni diverse, a tratti anche ostili. Dice Miguel Angel Ayuso Guixot, segretario del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, che i cristiani devono tenersi fuori dalla «politica delle fazioni» non per «codardia» ma per essere, con «coraggio», un «ponte» tra le diverse comunità. Restare e lavorare per la pace, dunque.
Il viaggio del Papa non potrà non tenere conto anche delle violenze scoppiate in Siria, la guerra civile che coinvolge la comunità cristiana e che ha suscitato più volte l'appello personale del Papa per una soluzione pacifica. «Il Libano - ha sottolineato di recente il cardinale francese Jean-Louis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il Dialogo interreligioso e diplomatico vaticano di lungo corso - è l'unico Paese della regione nel quale i cristiani partecipano all'esecutivo. La presenza del Papa avrà una dimensione politica, ma il Papa non può fornire soluzioni. Ricorderà dei princìpi: la dignità della persona umana, l'esigenza del diritto internazionale e il contributo a una certa etica. Dirà che è necessario fare in modo che la forza della legge prevalga sulla legge della forza. È una cosa molto triste vedere che, quando c'è un problema, si ricorre subito alla violenza e non alla diplomazia. La Santa Sede contribuisce a ricordare il diritto internazionale».

Anche il cardinale italo-argentino Leonardo Sandri, prefetto della congregazione per le Chiese orientali, vede nella visita del Papa «una spinta molto grande per questo dialogo, perché tutti potranno vedere e toccare con mano che la presenza del Papa non è una presenza di potere, ma è una presenza di amore, di dialogo e che mai e poi mai, sarà la presenza del Vangelo e del cristianesimo ragione per usare la violenza».

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