La Franzoni esce di prigione: lavorerà in cooperativa

Ammessa al lavoro esterno dal carcere di Bologna. E internet si ribella

La Franzoni esce di prigione: lavorerà in cooperativa

Qualcosa cambia, e un'altra pagina si gira nella vita di Anna Maria Franzoni, condannata in via definitiva a 16 anni di reclusione per l'assassinio del suo piccolo bimbo, Samuele Lorenzi, avvenuto la mattina del 30 gennaio 2002 a Cogne. Da lunedì scorso, infatti, la donna, detenuta nel carcere della Dozza a Bologna, è stata ammessa al lavoro esterno e può quindi lasciare la mattina il penitenziario per recarsi a lavorare in una cooperativa della zona e rientrare la sera in carcere.
La possibilità di lavoro esterno viene concessa, secondo l'articolo 21 dell'ordinamento penitenziario, a coloro che hanno già scontato più di metà della pena. Nel caso della Franzoni anche perché la donna ha un figlio minore, Gioele, nato a quasi un anno dalla morte di Samuele.

Protagonista di una vicenda controversa che ha visto avvicendarsi perizie, legali e processi la Franzoni si trova in carcere dal 22 maggio 2008, subito dopo la conferma della sentenza d'Appello pronunciata dalla Corte di Cassazione. Era stata arrestata una prima volta il 14 marzo del 2002, per poi venire scarcerata alla fine dello stesso mese su decisione del Tribunale del riesame. Il 4 ottobre di quell'anno lo stesso tribunale aveva poi cambiato parere dichiarando di nuovo valido l'ordine di cassazione, ma il Gip di Aosta, Fabrizio Gandini, lo aveva ritirato per la «cessazione delle esigenze cautelari». Inevitabile, ancora una volta, le reazioni dalla più diverse sfumature che questo nuovo provvedimento ha subito innescato sui vari blog e social network .
Una platea internettiana che, ancora una volta, si divide tra chi appoggia e incoraggia la mamma di San Benedetto Val di Sambro a ritornare a vivere, anche perché, a detta di alcuni suoi suppporter ingiustamente accusata, e chi invece ritiene che abbia scontato poco tempo all'interno del carcere e che si tratti di una «regalia» della giustizia un po' troppo prematura.

La tesi di alcuni è che, nonostante sentenze e tribunali abbiano analizzato il caso e operato sulla vicenda, non si sia mai trovata la verità che tutti cercavano. Nel corso degli anni la vicenda è divenuto materiale per molti programmi televisivi con molti vivacissimi dibattiti. Ma non è mai stato chiaro cosa fosse successo quel 30 gennaio alle 8,28 quando il 118 ricevette la telefonata della Franzoni che chiedeva aiuto. Fa parte oramai della cronaca anche la posizione mai chiarita in modo inoppugnabile di Ada Satragni, il medico che intervenne subito sul posto per prestare soccorso al bambino. Proprio il medico ipotizzò un aneurisma celebrale insistendo su questa improbabile causa della morte per molto tempo dopo.
La cosa che lasciò perplessi gli inquirenti fu che la Satragni lavò il bambino e lo spostò fuori casa su una barella improvvisata. La scena del crimine, in tal modo, fu quindi irreparabilmente alterata rendendo difficili i sopralluoghi seguenti all'interno della villetta.

Il piccolo Samuele fu dichiarato morto alle 9,55 e gli esami di rito rivelarono come causa della morte una serie di colpi, pare accertato che furono diciassette, inflitti con un corpo contundente direttamente indirizzato al capo.

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