Politica

Il coraggio di «assolvere» gli agenti

Difficilmente la richiesta del procuratore Felice Isnardi - che ha chiesto il proscioglimento del carabiniere e dei sei poliziotti accusati di omicidio preterintenzionale e altri reati ai danni di Giuseppe Uva - sarà giudicata «esemplare» dalla stampa e società civile in assetto di vigilanza democratica. Per loro «esemplare» è, quasi per luogo comune, ogni atto giudiziario o sentenza che punisca l'operato delle forze dell'ordine. Così come il martellante «fare chiarezza» o «volere giustizia», in simili circostanze equivale, matematicamente, a chiedere la condanna degli agenti in divisa. Una forma di emiplegia giustizialista non sorda all'eco di quel «dàgli allo sbirro» che ritmò gli anni Sessanta e Settanta, gli stessi (...)

(...) definiti formidabili da Capanna e così tuttora sentiti dai vigilanti dei quali abbiamo detto.
Per costoro non sarà dunque esemplare, la richiesta di Isnardi. Però dell'esemplarità ha il sigillo. Fu lo stesso procuratore, infatti, che dopo il rifiuto del Gip di archiviare, come avevano chiesto i pm Abati e Arduini, la pratica dei carabinieri e gli agenti implicati nel caso Uva, avocò a sé il fascicolo. Nessun dubbio, quindi, che il procuratore intendesse «fare chiarezza». Nessun dubbio che intendesse «fare giustizia». E l'ha fatta, sorprendendo e scandalizzando coloro i quali sia la chiarezza sia la giustizia l'intendono - quando ci sono di mezzo polizia e carabinieri - a senso unico: prima in manette e poi in galera. Un buon punto non a favore della giustizia, che ovviamente non comporta punteggi se non per gli aedi della vigilanza democratica, ma per le forze dell'ordine. Alle quali stringiamo la mano.

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