Cosa diceva a Montanelli il merlo di Rizzoli

Nell'ombra tragica della morte di Angelo Rizzoli mi azzardo a inserire una piccola vicenda che riguarda lui e che riguarda il Giornale. Quando, nel 1983, il tormentato nipote del grande Angelo fondatore di un impero editoriale fu una prima volta arrestato, si trovò alle prese con un problema domestico. Dove collocare Marco, il suo amato merlo indiano, e a chi affidarlo? Pensò all'amico Montanelli, e Indro non si tirò indietro. Una grande gabbia nella quale era rinchiuso Mario fece il suo ingresso nella nostra sede: fu addirittura collocata nell'ufficio del direttore, divertito dallo sboccato eloquio dell'ospite. Il merlo parlava benissimo, con un accento vivace e nitido che molti umani gli avrebbero invidiato. Inoltre fischiava, e dopo essersi così esibito chiedeva perentorio «come canto?». Era un merlo dal becco giallo e dal bel manto nero: con occhietti attenti e pungenti che seguivano ogni movimento di Montanelli e di chi gli stava intorno, spesso manifestando, a squarciagola, le sue impressioni. Il verbo del merlo era simpaticissimo, noi frequentatori della stanza direttoriale lo ascoltavamo ridendo. E Montanelli fingeva di volerlo strozzare, per le sue intemperanze, ma gli voleva bene.
Aveva, Marco, un repertorio squillante ma limitato. Urlava «Giocondo!!!» senza dubbio ripetendo, con l'inflessione veemente di Rizzoli, il nome d'un qualche segretario o inserviente al quale l'editore si rivolgeva frequentemente. Ma aveva imparato anche espressioni meno neutre. Si compiaceva particolarmente, senza malizia, con la beata semplicità degli innocenti, di intimare (...)

(...) a qualcuno dei presenti «va a cagare!!!». Indro riteneva, senza tuttavia poterlo ammettere coram populo, che il più delle volte il cordiale invito fosse dall'interlocutore meritato. I più, per rispetto a Montanelli, accettavano di buon cuore le franche parole del merlo, ma c'era anche chi rimaneva, se non proprio offeso, almeno interdetto. L'esortazione di cui sopra fu un giorno rivolta a Giovanni Spadolini, onnisciente ed egocentrico galantuomo, che fece trasparire dal volto paffuto un accenno d'insofferenza. Non so se proprio questo episodio, o l'insofferenza per l'eccessivo chiacchiericcio del merlo, indussero un giorno Montanelli a esiliarlo. Lo si sistemò accanto alla scrivania della segretaria di redazione Iside Frigerio: che un giorno ci diede la cattiva notizia: Marco non stava bene, si strappava le penne e la voce s'era arrochita. Vari veterinari - uno di loro svizzero - furono chiamati a consulto. Temo che non abbiano capito le ragioni della depressione di Marco, allontanato prima dal suo Angelo e poi dal suo Indro. Finché andò peggiorando e morì di polmonite e di solitudine. Marco se n'era andato, Angelo soffriva le sue pene.

Anche lui se n'è andato adesso: povero merlo raggirato da lestofanti, braccato e perseguitato - Vittorio Feltri scripsit - dalle toghe. Fosse ancora con noi il merlo Marco saprebbe bene dove mandare – dopo una gagliarda fischiata - tutta questa gente.

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