diT riestino come Guglielmo Oberdan, Gianni Cuperlo si appresta anche lui al martirio candidandosi alla segreteria del Pd con la tragica certezza di essere stracciato.
Biondo, con gli occhi azzurri, al pari del più puro degli eroi romantici, Gianni è perso nel sogno di antichi ideali comunisti di stampo berlingueriano ed è in loro nome che vuole sacrificarsi. Profittando della sua generosa cecità, Max D'Alema lo spinge alla lizza e lo appoggia poiché dei voti che Cuperlo otterrà, sarà lui l'unico a profittare. Le primarie del Pd sono fissate l'8 dicembre e il risultato è previsto: stravince Matteo Renzi, poi forse Pippo Civati, infine Gianni con un pugno di suffragi - venti per cento? - di irriducibili della falce e martello. Con questi voti - presi da Cuperlo ma a disposizione di D'Alema - Max tratterà con Renzi e Letta jr per avere un posto di ministro e rilanciarsi dopo anni di dimenticatoio.
Sgombrato il campo dal retroscena politicante, possiamo ora dedicarci al glaucopide Cuperlo di cui chiariremo strada facendo gli psicorapporti con Baffino.
Per molti di voi, Cuperlo è probabilmente un nome noto e insieme ignoto; vi dice qualcosa, ma niente di preciso. Come il Prete Gianni o Sardanapalo, si sa che esistono ma dove e perché si ignora. Il cinquantaduenne Cuperlo è in questo limbo della notorietà per una ragione chiara: è sulla breccia da un quarto di secolo ma per natura è restio a mettersi in luce. Per cui, talvolta - come in queste settimane che precedono le primarie - se ne parla a iosa e subito dopo, per anni, scompare. Un caso esemplare di triestinità integrale: carsico come l'entroterra della sua città.
Gianni, che è coltissimo, ha fatto il liceo classico e si è laureato con lode al Dams di Bologna. Comunista già in calzoni corti, divenne capo della gioventù comunista, Fgci, all'età di ventisette anni, nel 1988. Fu questo l'apice della sua esperienza umana, anche perché la sua storia si intrecciò con la Storia. Cuperlo fu infatti l'ultimo segretario della Fgci. Ne fu il seppellitore, nel 1990, l'anno successivo al crollo del Muro e lo stesso in cui Achille Occhetto cambiò il nome del Pci in Pds. Per Gianni, fu un trauma.
Lo evoca tuttora dicendo, con un'immagine da Wall Street, che dovettero, lui e la sua generazione, fare gli scatoloni. All'epoca esclamò, con un groppo alla gola: «Debbo cambiare? Sì ma affinché il mio comunismo si faccia più forte, più elevato, più dirompente.
E la sera stessa in cui il Pci cambiò nome, prese un cacciavite, smontò la vecchia targa dal Palazzo di Botteghe Oscure, la portò a casa e la fece restaurare. Ora la custodisce come reliquia.
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