Roma - Dalla politica dei piccoli passi a quella dei passi indietro. Sostenere che l'esecutivo sia lento, animato da una prudenza che lo porta a utilizzare il cesello dove serve un martello pneumatico non basta più. Dalla scuola, all'Imu passando per il decreto Salva Roma, si moltiplicano i casi di retromarcia fuori tempo massimo. Se si considera la giornata di ieri, l'inversione a U sembra diventata la norma.
In poche ore, il governo ha dovuto tirare un tratto di penna su due provvedimenti che, di fatto, erano già scritti. Uno addirittura in vigore, cioè la trattenuta di 150 euro sugli stipendi degli insegnanti che hanno percepito uno scatto non dovuto. Prelievo per fare cassa, del quale la titolare dell'Educazione, il ministro Maria Chiara Carrozza, non era a conoscenza. Bocciato dal premier in modo tardivo e un po' diseducativo, visto che si parla di scuola.
Più in sordina ha cambiato corso anche l'innalzamento del tetto alle aliquote Tasi. Dato per scontato dal ministero dell'Economia (era il messaggio forte della recente intervista del ministro Fabrizio Saccomanni a Repubblica), doveva finire nel decreto «Imu-Bankitalia» sotto forma di emendamento, ma martedì sera è scivolato fuori per entrare nel decreto enti locali. Non è escluso che slitti ancora e finisca in un decreto ad hoc.
Tutto può succedere, dopo che - per la prima volta a memoria di cronista - un decreto (il Salva Roma) è stato ritirato mentre il Parlamento stava già votando la sua conversione in legge. Cioè - come sa qualunque studente di una scuola superiore dove si studiano i rudimenti del diritto - mentre era in vigore a tutti gli effetti. Intervento diretto del Quirinale. Per il governo è stata tutta colpa dei parlamentari che hanno riempito il provvedimento di misure che non avevano niente a che vedere con gli enti locali e il debito di Roma.
Peccato che le due misure più azzardate - cioè le penalizzazioni economiche per i comuni che ostacolano le slot machine negli esercizi pubblici e la norma che salvava i contratti di affitto d'oro stipulati dagli organi costituzionali a spese dei contribuenti - portassero la firma del relatore e quindi del governo.
Poi c'è l'ampio capitolo tasse. L'Imu doveva essere cancellata per il 2013. La prima rata è effettivamente andata. Poi la seconda, con un provvedimento ad hoc. Poi, all'improvviso, è spuntato un pezzetto della vecchia imposta a carico di molte famiglie e la seconda rata si è trasformata in mini Imu. Colpa dei sindaci che hanno aumentato l'aliquota, hanno spiegato dal governo. Poi l'Irpef-immobili. Quando la riforma della tassazione della casa era ancora in gestazione, dal ministero dell'economia trapelò il ritorno della casa (dalla seconda in poi) nell'imponibile delle imposte sulle persone fisiche. Palazzo Chigi smentì sonoramente. Salvo poi - con la nuova maggioranza senza Forza Italia- reintrodurre la batosta in versione ridotta: al 40% e solo per gli immobili che si trovano nello stesso comune della prima casa.
Navigazione a vista e virate improvvise. Non solo per evitare decisioni sgradite a contribuenti (ed elettori), come il prelievo sugli stipendi di maestri e professori. Il governo ha fatto diversi dietrofront anche su buone notizie. Come tutte le volte che le imprese sono rimaste a bocca asciutta. Il taglio del cuneo, troppo modesto e vanificato dagli aumenti degli acconti fiscali su Ires e Irap.
Anche la cancellazione del superbollo sulle automobili di lusso - indiscrezione che aveva fatto gioire per pochi minuti tutti quelli che lavorano nel settore - è stata smentita. Il dato comune di tutti i dietrofront del governo di sinistra-centro è proprio quello. Riportare tutto al punto di partenza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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