De Magistris fa l'eroe in toga e dimentica che il Csm lo demolì

Il sindaco di Napoli torna al suo vecchio ruolo in tv per attaccare Di Pietro. Ma i suoi colleghi magistrati lo censurarono e lo trasferirono: ecco le accuse

Pochi ricordi, e un tantino con­fusi. L’ex toga ora infascia tricolo­re Luigi De Magistris, giovedì sera a Servizio Pubblico è tornata ai bei tempi, quando da pm d’assalto di Catanzaro si presentava nell’are­na­di Michele Santoro come la vit­tima dei poteri forti, oscuri e occul­ti (massoneria, mafia, servizi de­viati, colletti bianchi) che voleva­no zittirlo e strappargli le sue deli­catissime inchie­ste puntualmente finite in flop pazze­schi. Solo che, nel­la fretta di buttare a mare un altro ex pm (Tonino Di Pie­tro) Giggino ha di­me­nticato di guar­dare nello spec­chietto e si è anda­to a schiantare contro il muro di cemento armato del Csm che lo ave­va censurato tra­t­tandolo come una pezza da piedi.

Sferzanti e umi­lianti furono i giu­dizi dei colleghi della disciplinare che lo cacciarono dagli uffici di Ca­tanzaro impedendogli di conti­nuare a fare il lavoro d’accusa che l’aveva reso un’icona. Eppure in tv Giggino ha indossato di nuovo la toga e ha spiegato che lui era unhombre vertical osteggiato da col­leghi cattivi e collusi.

A Catanza­ro. Ma anche a Roma dov’è stato ri­conosciuto colpevole di 6 capi di incolpazione dal Csm.

Condanna­to perché ha mandato, per ripic­ca, le carte dell’inchiesta «Posei­done » alla procura di Palermo la­mentandosi della revoca della de­lega da parte del capo del suo uffi­cio.

Perché con «grave e inescusa­bile negligenza » ha imbottito il de­creto di perquisizione nei con­fronti dell’allora pg di Potenza coinvolto nell’indagine«Toghe lu­cane » con riferimenti a inchieste e procedimenti del tutto estranei al contesto investigativo, aggiun­gen­doci di suo anche una bella sto­ria di corna tra pm che, immanca­bilmente, è finita sui giornali sput­tanando i due ignari poveri cristi. Perché non informava il suo supe­riore delle iniziative investigative che andava assumendo e che, poi, finivano in tempo reale sui giorna­li. Perché firmava decreti di seque­stro e perquisizione sbattendose­ne della scadenza delle indagini preliminari. Perché gli capitava di dimenticarsi di chiedere al gip la conferma dei fermi di ben ventisei indagati. Oppure perché invece di comunicare al registro genera­le della Procura l’iscrizione di due indagati (il deputato Pittelli e l’uffi­ciale della Gdf Cretella) per la pau­ra di una fuga di notizie, s’era in­ventato l’iscrizione amanuense top-secret, ovvero annotandone i nomi –senza garanzia per la dura­ta delle indagini e per i diritti di di­fesa - su un foglietto di carta chiu­so a chiave nel suo armadietto. Chiaro che un magistrato del ge­nere abbia poi ispirato giudizi tranchant . Come quelli espressi dal procuratore generale, Vito D’Ambrosio,nel corso della requi­sitoria al Csm dove definì il colle­ga «un magistrato che utilizza in modo arbitrario dati, in modo as­solutamente non pertinenti al te­ma delle indagini, violando la pri­vacy di soggetti terzi, impossibili­tati a difendersi » e adotta compor­tamenti «sleali» verso i colleghi. Un campione di garantismo che «trascura l’osservanza dei termi­ni, sia nelle indagini, sia in tema di libertà personale», inventandosi procedure penali creative. Che «ha un modo errato e distorto» di interpretare il suo ruolo di magi­strato, concentrato com’è a«vive­re la propria attività in un’ottica missionaria» piuttosto che come un«mestiere».De Magistris,conti­nuava il pg, indica la Costituzione «come suo punto di riferimento» dimenticandosi che «i giudici so­no soggetti solo alla legge». Noi magistrati, incalzava D’Ambro­sio, «abbiamo poteri immensi, una capacità delegittimante enor­me e p­otere di incidere sulla liber­tà personale. Ma questo è accetta­bile solo se c’è quel limite. E da questo punto di vista De Magistris non dà sufficienti garanzie». Fini­ta? Macché. A detta del pg De Ma­gistris non rappresentava certo un modello cui ispirarsi. Perché? «Adotta comportamenti sleali e provvedimenti al di fuori delle pre­visioni del codice; ha rapporti con i media del tutto anomali che uti­lizza per fare pubblicità a se stes­so; trascura l’osservanza dei ter­mini di legge» e «fa appello alla piazza». Ecco, l’altra sera forse De Magistris avrebbe potuto ripensa­re – lui che è sotto processo a Ro­ma per l’accusa di aver acquisito tabulati telefonici di parlamenta­ri senza aver prima chiesto l’auto­rizzazione delle Camere - a quei passaggi della requisitoria. Oppu­re a quanto riportato dal consiglio giudiziario di Catanzaro che ave­va­bocciato la sua nomina a magi­strato di Corte d’appello ( una pro­mozione solitamente scontata) perché le «voci di capacità e prepa­razione presentano profili di evi­dente deficit, gravi vizi o lacune». Un pm che usa «tecniche di indagi­ne discutibili» che sfociano in «procedimenti fondati su ipotesi accusatorie che non hanno trova­to conferma » e in «attività carente dal punto di vista dell’approfondi­mento e della preparazione». In­dagava, intercettava, sequestra­va, arrestava ma alla fine i suoi pro­cedimenti finivano archiviati, con sentenze di non luogo a proce­dere o in raffiche di assoluzioni. L’ex pm, ovviamente,s’è ribellato alla «condanna» e ha fatto ricorso.

Ma la Cassazione lo ha respinto con imbarazzo dichiarandolo inammissibile perché presentato fuori tempo massimo. Non male per un magistrato.

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